“Vallis-polis-cellae”: è questo uno dei nomi più affascinanti dei territori del vino italiano, la “valle dalle molte cantine”, ovvero la Valpolicella. Oggi, la Valpolicella è uno dei territori più blasonati e prestigiosi: abbraccia 19 Comuni, tra il fiume Adige, la Valpantena ed i Monti Lessini, tutti nel territorio di Verona, e in quel “triangolo veneto” dell’agricoltura e del commercio che storicamente unisce la capitale della Valpolicella con il Lago di Garda e con Venezia. 30.000 ettari, che salgono a 750 metri di altezza e scendono a 50 metri sul livello del mare, di cui oltre 8.600 ettari vitati - di cui più di 3.500 certificati green o sostenibili - nelle colline disegnate dalle marogne e costellate di Ville Venete in cui anche il Sommo Poeta Dante Alighieri trovò conforto nell’esilio. È qui che nasce l’Amarone, uno dei più grandi rossi italiani, che sa andare oltre i trend e oltre le mode del momento - che cercano più freschezza e meno alcol - unico per il metodo di appassimento delle sue uve (in lizza per il riconoscimento Unesco), che lo fa apprezzare sempre di più dai consumatori del mondo, con un export che vale il 60% della produzione (nel 2023, aspettando l’aggiornamento dei dati, pari a 14,2 milioni di bottiglie, sui 67 milioni dei vini prodotti nella denominazione Valpolicella, con Recioto, Ripasso e lo stesso Valpolicella), e con Usa, Canada e Nord Europa primi mercati, ma anche dalla critica internazionale (con l’Amarone 2015 di Bertani premiato come “Vino dell’Anno” 2024 da James Suckling, uno dei critici più influenti). E la conferma arriva anche, e soprattutto, dal suo valore economico, stabilmente, da qualche anno, superiore ai 1,000 euro ad ettolitro, secondo i dati della Camera di Commercio di Verona, che in questo momento vede le quotazioni del prodotto “sfuso”, franco cantina, arrivare anche a 1.150 nella zona Classica: numeri che ne fanno il vino, in assoluto, più prezioso d’Italia. E capace ci spuntare un prezzo medio, franco cantina, di 35 euro a bottiglia, architrave economico di un territorio il cui giro d’affari è stimabile in oltre 600 milioni di euro, di cui la metà grazie proprio all’Amarone, e con i filari di Corvina, la varietà principe del grande rosso veneto, e degli altri vitigni della denominazione, come la Rondinella, che sono tra i più preziosi d’Italia, con valori stimabili tra 500.000 e 600.000 euro ad ettaro. Sono pochi, però, gli investitori di altri territori: il 90% dei produttori è “autoctono”, segno di attaccamento a questa terra, che hanno saputo mettere a reddito visto che, negli ultimi 20 anni, il reddito ad ettaro è quintuplicato superando 25.000 euro, gli ettari vitati sono raddoppiati e la quantità di uve messe a riposto è aumentata di quasi il 500%.
Merito anche del lavoro del Consorzio Vini della Valpolicella che, guidato da Christian Marchesini, da oggi al 2 febbraio a Verona, all’ombra dell’Arena, firma “Amarone Opera Prima”, l’evento dedicato al vino più blasonato del territorio svelando la nuova annata 2020 che arriva sul mercato, e dando il via alle celebrazioni per i 100 anni dalla sua fondazione nel lontano 1925, e che oggi rappresenta oltre 2.400 aziende tra viticoltori, vinificatori e imbottigliatori. Lo fa riunendo al Palazzo della Gran Guardia 78 aziende, un record di partecipazione - da Albino Armani a Marilisa Allegrini - Villa Della Torre (al debutto nella “vetrina consortile”), da Bottega a Farina, da La Giuva (famiglia Veronesi) a Monte Del Frà, da Montezovo a Rocca Sveva (Gruppo Cadis 1898), da Santi a Sartori, da Secondo Marco a Tinazzi, per citarne solo alcune - per incontrare oltre cento giornalisti (tra cui WineNews, che racconterà passato, presente e futuro dell’Amarone e della Valpolicella in un video online nei prossimi giorni, ndr), di cui 73 provenienti da 26 Paesi (Argentina, Australia, Austria, Canada, Cina, Corea del Sud, Danimarca, Emirati Arabi Uniti, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Hong Kong, Israele, Kazakistan, Lettonia, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Repubblica Ceca, Russia, Singapore, Svezia, Ucraina, Uk e Usa).
E per ripercorrere il passato e guardare al futuro, l’Amarone ha un asso nella manica perché è tra i pochi vini italiani a poter vantare le più ricche “library” di vecchie Riserve nelle sue cantine, che lo fanno apprezzare sempre di più anche dai collezionisti, protagoniste d’eccezione de “La memoria del tempo, un viaggio tra le annate storiche di Amarone”, una masterclass al Palazzo della Gran Guardia guidata dal Master of Wine e vice presidente del Consorzio, Andrea Lonardi, nella quale spicca la bottiglia più antica certificata, l’Amarone di Bolla (oggi di proprietà del Giv-Gruppo Italiano Vini), frutto della vendemmia 1950 uscita sul mercato nel 1953 (è il Consorzio ad aver chiesto ai produttori di scovare in cantina le loro più vecchie Riserve, facendole poi certificare da un ente terzo): fino a quel momento, l’Amarone era visto come un errore di cantina, il procedimento per produrlo era lo stesso del dolce Recioto, ottenuto da uve appassite in fruttaio, la cui fermentazione veniva bloccata per conservare una percentuale di zucchero, ma lasciandolo per sbaglio nelle botti lo zucchero si trasformò in alcol e in un vino secco ed amaro, da cui il nome, che inizialmente i produttori consumavano in famiglia, ma di cui ben presto intuirono il potenziale commerciale. Accanto, gli Amarone Montresor 1969, Bertani 1975, Santa Sofia 1983, Cecilia Beretta 1985 di Pasqua Vigneti e Cantine (che celebra 100 anni di storia proprio come il Consorzio), Mazzi 1997, Bussola 2000, Marion 2007 e Cesari 2010.
Non un caso, il piacevole intermezzo “gourmet”, andato in scena sempre oggi, con il pranzo firmato dallo chef veronese Giancarlo Perbellini, fresco di terza stella Michelin con il suo Casa Perbellini - 12 Apostoli, al Teatro Filarmonico di Verona, perché l’Amarone è sempre di più un vino-icona anche nel fine dining, come ha raccontato la masterclass “Amarone: iconic of fine dining in the world’s 50”, guidata dall’esperto Jc Viens con la degustazione di una selezione di Amarone presenti nelle wine list dei migliori 50 ristoranti al mondo secondo la classifica annuale stilata dal mensile britannico “Restaurant”: da Meroni Il Velluto 2011 (nella carta dei vini del Mountain Beak St, Londra) a Ca’ La Bionda Vigneti di Ravazzol 2012 (Sezanne, Tokyo), da Monte dall’Ora Stropa 2013 (Le Calandre, Italia) a Zymé 2013 (Cenci, Kyoto, Asia), da Buglioni Il Lussurioso 2016 (SingleThread, Sonoma Valley) a Tezza Brolo delle Giare 2016 (Fat Duck, Londra) e Quintarelli 2017 (Eleven Madison Avenue, New York), un simbolo assoluto dell’Amarone e tra i fine wine più quotati nelle aste e desiderati dai collezionisti del mondo.
Domani, sotto, i riflettori ci sarà il focus “Valpolicella: 100 anni tra passato e futuro della denominazione”, con gli interventi di Christian Marchesini, presidente del Consorzio, e Carlo Flamini, responsabile dell’Osservatorio del Vino di Unione Italiana Vini - Uiv. A seguire, l’inedito spettacolo “Amarone, epopea in Valpolicella”, ideato dall’attore, drammaturgo e regista teatrale Andrea Pennacchi per il centenario del Consorzio. Poi, via agli assaggi, riservati agli addetti ai lavori, e, quindi, aperti anche agli appassionati (anche il 2 febbraio), con l’aperitivo “Valpolicella: freschezza e creatività nel calice” a cura del Gruppo Giovani del Consorzio, per brindare ad altri 100 anni così per questo territorio ed i suoi grandi vini.
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