Il settore vitivinicolo italiano attraversa un periodo di profonda trasformazione caratterizzato da sfide globali significative e nuove opportunità di mercato. L’analisi della retribuzione dei professionisti del settore, così come l’indagine delle figure oggi più ricercate all’interno del comparto, può essere un pretesto per analizzare i principali trend e cambiamenti che investono l’industria che, nel 2024, ha confermato di stare attraversando una fase complessa. Così il report realizzato dalla divisione Wine di Michael Page Italia, e analizzato da WineNews, azienda britannica specializzata nel recruitment di professionisti qualificati e manager, racconta di un comparto che nello Stivale investe molto come risorse umane nel reparto commerciale, soprattutto in export e marketing, ma meno, invece, per quanto riguarda la parte produttiva, dove agronomi ed enologi sono mediamente, peraltro, le figure che guadagnano di meno (tra i 25.000 e i 40.000 euro annui lordi per i Junior, tra 35.000 e 55.000 euro con almeno cinque anni di esperienza e più di 55.000 euro con più di 10 anni di esperienza), e tra i pochi ruoli a non beneficiare di bonus aziendali.
“Questo perché non hanno obiettivi tangibili legati alla marginalità come invece hanno i commerciali - spiega, a WineNews, Pierluigi Catello, manager per la divisione dedicata alla ricerca e selezione di profili per le imprese vinicole in Michael Page - e visto il difficile 2024, tante aziende hanno cercato di compensare le flessioni registrate investendo in figure professionali in grado di aumentare il fatturato e tornare ai numeri del 2022 o 2023. E chi porta alla crescita del fatturato è una persona che vende”.
A livello di export la registrata contrazione dei volumi dell’ultimo anno è dovuta principalmente al peggioramento delle condizioni economiche globali e alla riduzione dei consumi nei mercati maturi, come quelli europei. Tuttavia, l’Italia ha dimostrato una maggiore resilienza rispetto ai principali competitor, come la Francia, e particolare merito va al Prosecco, un traino globale capace di compensare parzialmente le difficoltà degli altri segmenti. Nel 2024 così le aziende vinicole italiane hanno concentrato i loro sforzi sul potenziamento dei mercati esteri, tanto che il ruolo in assoluto più ricercato dalle imprese del vino è l’Export manager (30-45.000 euro annui lordi per i Junior, 45-60.000 euro con almeno 5 anni di esperienza, 60-90.000 euro con 10 anni di esperienza e con bonus aziendali fino al 20%): “molti pensano che assumere un professionista di questo tipo sia garanzia dell’aumento del fatturato - dice Catello - ma non è sempre così. C’è senz’altro una corsa alla ricerca di questa figura, ma non è detto che porti benefici immediati, serve tempo. Avere tanti contatti non significa vendere e magari i buyer interpellati hanno già altri brand nel portafoglio e non vogliono spostarsi su altre aziende”.
C’è però - secondo il report di Michael Page - un mercato emergente, l’Asia, nel quale l’Italia ancora non si è concentrata pienamente, e che attualmente rappresenta appena il 7% delle esportazioni italiane, a causa di barriere culturali e della forte presenza della Francia, che ha saputo investire con decisione in queste aree. Ma trovare un professionista in grado di internazionalizzare il marchio dell’azienda, anche e soprattutto nei mercati asiatici, non è facile vista la tanta concorrenza che, di conseguenza, fa aumentare progressivamente anche la retribuzione media: “in un contesto in cui tanti cercano la stessa figura la migliore offerta economica può fare la differenza. Così come la flessibilità: c’è anche chi accetta di guadagnare meno, ma magari lavorando da casa. Ci sono anche aziende che vanno a cercare direttamente professionisti Resident, che vivono in sede”, racconta Catello, che evidenzia poi un altro tema: “nel mondo del vino c’è chiusura verso l’esterno. Le aziende vinicole che assumono vogliono persone che già lavorano o hanno lavorato nel settore. E questo è un limite perché i professionisti ci sono, ma non così tanti. Esistono contesti affini come il settore alimentare o gli spirits da cui si potrebbe attingere, ma questo accade perlopiù per quanto riguarda la parte produttiva, soprattutto dal beverage, mentre invece per il commerciale è più complicato”.
Il consumo di vino, inoltre, è sempre più influenzato da tematiche legate alla sostenibilità, alla salute e al legame con il territorio. I consumatori, in particolare quelli più giovani, tendono a preferire vini leggeri, freschi e con gradazione alcolica contenuta e questo ha portato alla crescita del segmento dei vini dealcolati (in Italia è stata recentemente concessa l’autorizzazione per produrli, ndr) e degli spumanti. E così, oltre agli Export manager, le aziende vinicole hanno investito anche in altre figure chiave sia per rafforzare la presenza del marchio sul territorio nazionale - come gli Area manager Italia (30-40.000 euro annui lordi per i Junior, 40-55.000 euro con almeno 5 anni di esperienza, 55-75.000 euro con 10 anni di esperienza e con bonus aziendali fino al 20%), specializzati nel canale Horeca - sia in ruoli legati all’area marketing - come Marketing manager (60-65.000 euro annui lordi per i Junior, 65-70.000 euro con almeno 5 anni di esperienza, 70-75.000 euro con 10 anni di esperienza e con bonus aziendali fino al 20%), Brand manager (30-40.000 euro annui lordi per i Junior, 40-50.000 euro con almeno 5 anni di esperienza, 50-55.000 euro con 10 anni di esperienza e con bonus aziendali fino al 20%) e Direttori marketing (75-85.000 euro annui lordi per i Junior, 85-100.000 euro con almeno 5 anni di esperienza, 100-120.000 euro con 10 anni di esperienza e con bonus aziendali fino al 20%) - evidenziando l’importanza di strategie mirate per promuovere il brand e adattarsi alle nuove tendenze di consumo.
Ma a fronte di tutto ciò permane il problema atavico della mancanza di manodopera in vigna e cantina: “è un tema legato a dinamiche globali e non prettamente vinicole - sottolinea Catello - è sempre più difficile trovare persone che diano disponibilità a fare un lavoro faticoso e che magari ti impegna anche per tanti giorni consecutivi. Le nuove generazioni cercano lavori più comodi. Anche le aziende che, oltre al vitivinicolo, si occupano di hospitality fanno fatica a trovare camerieri, cuochi o addetti di sala. Pesano le retribuzioni poco competitive. Un’idea potrebbe essere garantire al lavoratore l’alloggio per permettergli di ammortizzare i costi. Ma in ogni caso, trovare persone per svolgere lavori faticosi oggigiorno è molto complicato e vale per tutti i settori, non è una specificità del mondo del vino, anche se una riflessione sul tema è giusto che anche le imprese vinicole la facciano”.
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