
Gli Stati Uniti rimangono il mercato più importante e solido per le esportazioni di vino italiano. Lo dicono i numeri, anche in questo 2025 “particolare”, in cui tengono, in attesa dell’effetto del “peso” dei dazi, entrati in vigore al 15% il 7 agosto, e che destano più di una preoccupazione, insieme ad un prezzo medio al litro che sta già pericolosamente scendendo. Ma la fortuna e lo stato di salute del vino italiano non possono fare a meno della risposta che arriva dagli States, perché i mercati emergenti, che giustamente vanno monitorati, sono ancora delle “nicchie”, vedi il Mercosur. Nonostante tutto, nel primo semestre 2025, secondo i dati Istat analizzati da WineNews, gli Stati Uniti continuano a dominare con 988,4 milioni di euro in valore (+5,2% sul primo semestre 2024, anno da “record”), pur con una piccola frenata, e 179,9 milioni di litri (+1,1%). Senza dimenticare i 345 milioni di litri esportati nel 2024 e un controvalore all’import di 2,25 miliardi di dollari, che fanno dell’Italia, assieme alla Francia, i market leader dei vini d’importazione negli Stati Uniti. E, dazi o meno, il Belpaese non intende abdicare a questo ruolo anche se sarà fondamentale, sempre di più, capire il mercato, le sue tendenze, ed i consumi che cambiano, altra “colossale” sfida che deve affrontare il mondo del vino, tra spinte salutistiche ed altri prodotti che avanzano, come i ready-to-drink, ma non solo, che sembrano affascinare di più le nuove generazioni.
L’Italia, comunque, continua a puntare forte sul mercato statunitense. A dimostrarlo è anche Vinitaly.Usa, l’evento firmato Veronafiere-Vinitaly che, al Navy Pier di Chicago il 5 e il 6 ottobre, riunirà i più importanti produttori italiani: una piattaforma unica negli States, la più ampia per espositori, che affianca agli incontri b2b con il trade americano, focus strategici sul futuro del Vigneto Italia. Con uno sguardo al presente, ma anche al futuro. Come dimostra un’analisi dell’Osservatorio Unione Italiana Vini (Uiv) e Vinitaly, che traccia le rotte future dei prossimi eno-addicted a stelle e strisce in un mercato tutt’altro che maturo. “Il 75% dei consumatori statunitensi di vino italiano - ha detto il dg Veronafiere, Adolfo Rebughini - si concentra in una quindicina di Stati, con in testa California, New York, Florida, Texas e Illinois. Gli italian wine lovers, oggi, provengono soprattutto da qui, sono in prevalenza consumatori di origine caucasica (75%), Boomers o Gen X (62%), con una significativa presenza del pubblico femminile. I dati ci confermano una notorietà media del 72% e un tasso di conversione all’acquisto del 55%: un patrimonio che - attraverso Vinitaly - vogliamo consolidare aprendoci al tempo stesso a nuovi target e mercati emergenti. In quest’ottica la scelta di Chicago non è casuale ma risponde alla volontà di essere al fianco delle imprese italiane nei luoghi più strategici per il loro sviluppo negli Stati Uniti”.
Secondo l’analisi dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly su base Iwsr (International Wine and Spirits Record, leader globale nei dati, nelle analisi e nelle informazioni strategiche per il settore delle bevande alcoliche), l’identikit del consumatore del futuro è di genere maschile, Gen Z, ma anche Millennials, di etnia latinoamericana o afro-discendente, preferibilmente residente in Texas, Illinois, California, South Carolina e Georgia o altre aree con quei segmenti di popolazione non solo poco esplorati, ma che Stato per Stato dimostrano percentuali di gradimento del vino superiori alla media nazionale. Su queste direttrici l’obiettivo si espande in verticale su segmenti demografici in forte crescita, a partire dagli ispanici - che ormai valgono il 20% della popolazione complessiva, con punte superiori al 50% tra i più giovani in Stati come la California o il Texas - come anche gli afroamericani (14%) o gli asiatici (6%).
In orizzontale la diversificazione passa poi attraverso nuove geografie, e guarda a Stati emergenti dei consumi al di fuori delle aree tradizionali: una platea alternativa di 113 milioni di pressoché potenziali nuovi consumatori. Dall’analisi sui target, viene notato, per esempio, che negli Stati la prevalenza dei consumi è più maschile in California, Florida e New York, mentre a livello etnico la popolazione afroamericana è abbondantemente sopra la media in Georgia, North Carolina e Virginia, mentre gli ispanici in California e Texas. All’anagrafe, gli appartenenti alla Gen Z vanno sopra la media nazionale in Georgia, Illinois, nelle due Caroline e in Texas. Ancora in Texas, ma anche a New York, sono, invece, i Millennials ad avere percentuali di rappresentanza significativamente superiori alla media nazionale.
Ribaltando il dato sui vini italiani, e partendo dall’alto della classifica dei consumi, in California e in Florida l’identikit del consumatore di domani, spiega una nota, è maschio, di etnia ispanica, preferibilmente appartenente alla generazione Millennials. I possibili vini su cui puntare sono rossi, sia frizzanti (stile Lambrusco anche in versione amabile o dolce), sia fermi, strutturati e con spiccata morbidezza, come Primitivo e Amarone.
In Georgia, Illinois e nelle due Caroline il target è prettamente giovane e giovanissimo, ma di etnia afroamericana: qui il ventaglio dei prodotti si allarga, ricomprendendo rossi, in particolare siciliani base come Nero d’Avola, ma anche Shiraz, oppure, lato vini bianchi, il Moscato d’Asti e gli spumanti base Moscato.
In Texas si rimane sui giovani, ma appartenenti alla comunità latina (ancora Lambrusco in primis, ma anche Chianti), mentre a New York e Washington il target su cui puntare maggiormente gli sforzi è quello dei Millennials, con vini bianchi non solo base Pinot Grigio, ma allargando la “sperimentazione” ai varietali emergenti, come Vermentino e Ribolla. Infine, in Ohio occhi puntati sui Gen Z, mentre in Virginia sono gli afroamericani quelli con maggiore potenziale per i vini tricolori.
Se queste sono le opportunità che emergono negli Stati con forte propensione al consumo, altre si possono cogliere in quegli Stati dove i consumi di vino hanno tassi di penetrazione interessanti, ma la conoscenza dei vini italiani è sotto media nazionale: dall’Arizona al Colorado, passando per Louisiana, New Mexico, Arkansas o Indiana. In Arizona, per esempio, è stato spiegato che incrociando i dati per genere, etnia ed età, il profilo che emerge è quello di una donna nella fascia over 40, ma appartenente anche alla comunità asiatica (più orientata verso i rossi strutturati, come il Montepulciano d’Abruzzo), mentre in Arkansas si scende alla generazione Millennials per affiancare alla popolazione caucasica gli appartenenti alla comunità afroamericana, a cui offrire un mix fatto di spumantistica marcatamente “territoriale” e rossi base Sangiovese, come Brunello di Montalcino, e Merlot, come gli Igt toscani. Afroamericani sopra la media nazionale anche in Louisiana e Indiana: nel primo Stato il target è però preferibilmente maschio, sia molto giovane, sia appartenente a una fascia d’età più adulta, mentre in Indiana sono più che altro donne della Gen X. Nel New Mexico il target principale sono i consumatori di origine ispanica, ma di sesso maschile e rientranti nel gruppo dei Millennials, mentre in Colorado sono sempre maschi caucasici della Gen X i più numerosi: a questi ultimi possono essere riservati vini bianchi longevi, come le versioni più impegnative di Soave e Verdicchio.
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