Siamo leader in Europa nell’economia circolare ed abbiamo la percentuale di avvio a riciclo sulla totalità di rifiuti più alta dell’Unione Europea: 92,6%, un tasso di gran lunga superiore a quello delle altre grandi economie europee come Francia (81,5%), Germania e Spagna (75,5%), e anche rispetto alla media Ue (60%). Tra il 2019 e il 2024 sono state 578.450 le imprese extra-agricole italiane che hanno investito sulla Green Economy e sulla sostenibilità, ovvero il 38,7% del totale (più di una su tre). Risultato: le aziende green affrontano meglio la crisi. “Le analisi mostrano che le aziende europee che detengono brevetti in tecnologie green strategiche registrano in media un livello di produttività più alto del 17%, e questo effetto è ancora più marcato nei settori tradizionali. Il green, quindi, può rappresentare un moltiplicatore di valore”: parole di Andrea Prete, presidente Unioncamere che, nei giorni scorsi a Roma, ha presentato il “Rapporto GreenItaly” 2025, edizione n. 16, realizzato insieme a Symbola, la Fondazione per le Qualità Italiane (della quale fa parte anche WineNews) ed al Centro Studi Tagliacarne, con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente. Ed i cui dati “confermano la concretezza dell’invito del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a fare della transizione verde e della decarbonizzazione un importante fattore di competitività. C’è un’Italia che può essere protagonista con l’Europa alla Cop30 a Belèm: fare della transizione verde un’opportunità per rafforzare l’economia e la società - ha sottolineato Ermete Realacci, presidente Fondazione Symbola - nel Rapporto si coglie un’accelerazione verso un’economia più a misura d’uomo che punta sulla sostenibilità, sull’innovazione, sulle comunità e sui territori. Siamo una superpotenza europea dell’economia circolare e questo ci rende più competitivi e capaci di futuro. Possiamo dare forza a questa nostra economia e a questa idea di Italia grazie alle scelte coraggiose compiute dall’Unione Europea con il Next Generation Ue e al Pnrr. La burocrazia inutile ostacola il cambiamento necessario, ma possiamo farcela se mobilitiamo le migliori energie del Paese senza lasciare indietro nessuno, senza lasciare solo nessuno, come recita il “Manifesto di Assisi”, promosso dalla Fondazione Symbola e dal Sacro Convento”.
Nel 2024 i green jobs sono stati 3,3 milioni, in crescita del 4,3% (+135.000 unità) sul 2023, con una quota sul totale degli occupati pari al 13,8%. E in riferimento alla distribuzione regionale, lo scenario resta pressoché immutato anche nel 2024, con l’affermazione del Nord-Ovest con il 32,8% del totale nazionale, seguito dal Nord-Est (23,6%), dal Mezzogiorno (23,1%) e, infine, dal Centro (20,5%): unica area, quest’ultima, a segnare una flessione, seppur lieve, di lavoratori verdi sul 2023, con il -0,5%, mentre registrano il +6,2% il Nord-Ovest ed il Nord-Est e il +4% il Sud e le Isole.
Evidenzia, invece, una differenziazione geografica lievemente maggiore la distribuzione per macro-aree delle imprese eco-investitrici dei settori dell’industria e dei servizi: la differenza tra l’incidenza delle imprese che hanno effettuato eco-investimenti sul totale delle imprese extra-agricole nelle macro-aree nel 2019-2024 è contenuta in più o meno 2,7 punti percentuali sulla media (38,7%), con un valore massimo nel Nord-Est (41,4%) e un minimo nel Centro (36,6%). La Lombardia conserva saldamente il primato con 102.730 imprese eco-investitrici nel settore dell’industria e dei servizi, pari al 17,8% del totale nazionale e al 39,3% del totale delle imprese della regione. Nelle prime cinque regioni per numero di imprese che hanno effettuato investimenti green sono concentrate ben il 53,1% delle imprese che nel periodo esaminato hanno realizzato eco-investimenti (era il 52,2% nel periodo 2019-2023): oltre alla Lombardia, si confermano in questo gruppo il Veneto (54.970 imprese eco-investitrici), il Lazio (50.960), la Campania (50.890) e l’Emilia-Romagna (47.640). Nella graduatoria provinciale continua, invece, il testa a testa tra Roma e Milano, rappresentative rispettivamente del mondo dei servizi e dell’industria: la Capitale si riprende il primato con 39.020 imprese eco-investitrici extra-agricole, in crescita dalle 36.290 unità della scorsa rilevazione (2019-2023), mentre il capoluogo meneghino segue con 37.680 imprese green. Si confermano nelle prime cinque posizioni della graduatoria provinciale Napoli (25.930 imprese green), Torino (21.380) e Bari (15.030). Analizzando, invece, la sola incidenza di imprese eco-investitrici sul totale delle imprese provinciali, le migliori performance sono registrate a Bolzano (50,1%), Bologna (47,6%) e Siracusa (46,2%).
Infine, per quanto riguarda il riciclo degli imballaggi, l’Italia ha raggiunto la quota effettiva del 76,7% (2024), dato che consolida la nostra leadership europea, già confermata dal raggiungimento con 10 anni di anticipo dell’obiettivo europeo di riciclo complessivo per il 2030 (dati Conai). Le filiere più virtuose sono quelle della carta (92,4%), del vetro (80,3%) e dell’acciaio (86,4%), mentre quella degli imballaggi in plastica biodegradabile e compostabile, con un tasso di riciclo del 57,8%, è - insieme alla plastica tradizionale (50,8%) - il settore con il più rapido tasso di crescita. Virtuosa a livello europeo anche la filiera degli oli minerali, con un tasso di riciclo pari al 98% (dati Conou) e per quanto riguarda, invece, il recupero di pneumatici fuori uso, le attività di recupero hanno permesso al Paese nel 2024 di evitare l’emissione di oltre 90.000 tonnellate di Co2eq e risparmiare 957 milioni di megajoule di risorse fossili (dati Ecopneus).
“La transizione green non è più soltanto una scelta etica o ambientale: è il nuovo spazio dove si misurano competitività, produttività e capacità industriale dei Paesi - ha aggiunto Prete - oggi lo vediamo con chiarezza: le imprese che investono con oculatezza e concretezza in tecnologie net-zero, dall’efficienza energetica ai materiali circolari, dai sistemi fotovoltaici di nuova generazione all’idrogeno, non solo riducono le emissioni, ma performano meglio. Il vero limite non è la volontà delle imprese, semmai la disponibilità di professionisti qualificati. Le aziende incontrano difficoltà di reperimento per oltre la metà dei profili green jobs ricercati, e questo blocca gli investimenti. Per questo la sfida non è “se” fare la transizione, ma “come” farla diventare un fattore di competitività nazionale”.
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