Quello della birra made in Italy è un comparto che vale 10 miliardi di euro e occupa oltre 100.000 persone, una vera e propria nicchia di eccellenza, non solo produttiva, ma anche economica: ma ad un 2023 cominciato male, a causa di una contrazione del valore, si aggiunge adesso lo spauracchio di un nuovo aumento delle accise (con la birra unica bevanda da pasto ad essere tassata) che rischia di penalizzare, oltre ai birrifici, anche distribuzione, vendita e persino il consumatore. Emerge dall’analisi Osservatorio Birra, con il Rapporto “La creazione di valore condiviso del settore della birra in Italia”, edizione n. 7, realizzato da Althesys, che analizza gli impatti diretti, indiretti e indotti della produzione di birra in Italia.
Dalla ricerca emerge che, dopo un ottimo 2022, la birra è partita male nel 2023: a metà anno si registra dati molto preoccupanti (-3% di valore condiviso, oltre 120 milioni di euro). Della crisi dei birrifici rischia di risentire una filiera che dà lavoro a 103.000 famiglie e paga allo stato più di 4 miliardi di euro di contribuzione fiscale. Al peso crescente dei costi rischia di aggiungersi un nuovo aumento delle accise sulla birra, previsto dal 1 gennaio 2024, che potrebbe danneggiare un comparto già in sofferenza.
Secondo lo studio, l’effetto moltiplicatore del valore, che cresce per ogni passaggio nella filiera brassicola, vale purtroppo anche al contrario. In altre parole, se entrano in crisi i produttori, che rappresentano una minima parte del valore condiviso che la birra porta al Paese, ne risente tutta la filiera. Secondo Osservatorio Birra, la crisi del settore (che non ha mai smesso di investire, con 250 milioni di euro negli ultimi 4 anni), incastrato tra l’aumento dei costi di produzione e la riduzione del potere d’acquisto degli italiani, mette sotto pressione tutta la filiera: agricoltura, trasformazione, produzione, logistica, trasporti, grande distribuzione e ristorazione. Il rischio è di azzerare quel “fenomeno birra” che, negli ultimi 15 anni, ha portato la birra sulla nostra tavola, al centro della gastronomia e della socialità degli italiani.
Osservatorio Birra e Althesys fotografano un comparto strategico dell’Italia alimentare attraverso il valore condiviso, calcolato analizzando tutte le fasi della filiera della birra (approvvigionamento materie prime, produzione, logistica, distribuzione e vendita), gli effetti diretti (valore aggiunto, contribuzione fiscale, occupazione ...) delle attività dell’industria birraria nazionale, quelli indiretti e indotti. La filiera della birra nel 2022 ha, per la prima volta, sfondato il tetto dei 10 miliardi di euro di valore condiviso (10,2 miliardi, +9,2% sull’ottimo 2021). La crescita del 4,1% in volume, i 3,2 punti percentuali in più conquistati dall’horeca (dal 32,6% al 35,8%), la crescita dell’8% degli occupati (oltre 103.000 dipendenti lungo la filiera), i 4,3 miliardi pagati al fisco (di cui 707 milioni di euro di accise) sono il quadro di un settore che contribuisce puntualmente alla crescita del Pil del nostro Paese.
Dallo studio emerge come la birra non porta ricchezza solo a chi la produce. Semmai è più vero il contrario: solo l’1,3% dei 10,2 miliardi di valore condiviso è “trattenuto” dai birrifici, il resto viene distribuito ai lavoratori della filiera e allo Stato. E infatti, ogni euro di birra venduta ne ha generati 6,8 lungo l’intera filiera. Ne beneficiano soprattutto le fasi a valle (distribuzione e vendita, con 8.102 milioni di euro), mentre la birra ha portato un cospicuo contributo alle casse dello Stato: 4 miliardi e 278,8 milioni di euro tra Iva, imposte e contributi sul reddito e sul lavoro. Inoltre, la filiera della birra ha distribuito 2,8 miliardi di euro di salari, dando lavoro a oltre 100.000 famiglie, generando 30 occupati per ogni addetto alla produzione.
I risultati del 2022 sembrano riferiti a una stagione e a un ciclo economico purtroppo conclusi. In verità, anche nel 2022 esisteva un campanello di allarme che suonava in sordina. Innanzitutto, il boom dei costi di produzione (per i birrifici in un anno +50% dell’incidenza dei costi di materie prime ed energia sul valore della produzione) e anche la crescita ampia +9,9% delle importazioni di birra sui valori dell’anno precedente, indicavano che qualcosa di negativo stava accadendo al comparto nazionale.
Nel primo semestre 2023 la tendenza s’inverte. Il peso e gli effetti dell’aumento dei prezzi sul food and beverage conseguenti alla forte dinamica inflattiva hanno improvvisamente tolto energia alla locomotiva birra. Il primo semestre 2023 registra, per la prima volta dopo 2 anni, un calo del valore condiviso del -3%, pari a 120 milioni di euro.
Nel quadro di un 2023 particolarmente difficile, desta grave preoccupazione per il settore il peso delle accise, destinate ad aumentare nuovamente a partire dal 1 gennaio 2024. Lo dimostra lo studio di Osservatorio Birra: l’effetto moltiplicatore del valore, che cresce per ogni passaggio della filiera della birra, vale, purtroppo, anche al contrario. Se entrano in crisi i produttori, che rappresentano una minima parte del valore condiviso che la birra porta al Paese, ne risente tutta la filiera. In particolare i canali distributivi, la grande distribuzione (1.522,9 milioni di euro) e, soprattutto il fuori casa (6.579,8 milioni di euro), e cioè i ristoranti, le pizzerie, i pub e i bar, dove la birra, in virtù della sua marginalità costituisce una parte fondamentale del giro di affari.
Inoltre, una crisi della birra tocca anche l’agricoltura italiana. E non solo perché il settore agricolo fa parte della filiera della birra. Ma perché questa bevanda è un traino decisivo per la fetta di consumi agroalimentari, nei 350.000 punti di consumo: uno studio Osservatorio Birra/Piepoli dimostra infatti che, quando al ristorante, in pizzeria, al pub o in trattoria si ordina una birra, 8 volte su 10 viene sempre accompagnata dal buon cibo della nostra tradizione agroalimentare italiana.
Un aumento di pochi centesimi di euro dell’accisa sulla birra finirebbe per far male a tutti, anche al consumatore. Colpisce i produttori (già alle prese con costi sempre più insostenibili), riduce i margini degli esercenti, e ricade anche sul consumatore, perché viene anche gravata dall’Iva. Infatti, in una birra alla spina 80 centesimi sono imputabili all’accisa, mentre su una bottiglia da 0,66 in offerta, il formato più venduto in Italia al supermercato, questa tassa incide per il 40% sul prezzo di vendita.
La birra è l’unica bevanda da pasto gravata da accise, e in passato lo Stato, quando ha abbassato l’accisa sulla birra, ha incassato di più: +27% di entrate erariali nel 2017-2019 rispetto al triennio precedente, che aveva visto gli aumenti di questa tassa. Inoltre, con una minor pressione fiscale i produttori sono stati in grado di fare investimenti, lanciare nuovi prodotti, generando crescita e quindi gettito. Secondo Osservatorio Birra, una riduzione delle accise potrebbe alleggerire la pressione inflattiva per i consumatori e aumentare la competitività della filiera brassicola nazionale. E l’alleggerimento della pressione fiscale potrà fornire al mercato lo stimolo per riprendere la sua parabola di crescita.
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