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Alta Langa, il metodo classico d’eccellenza del Piemonte, guarda al futuro: un “Patto con la Terra” (con l’Università di Pollenzo), e la prima volta insieme delle 25 case spumantiere che valorizzano i 350 ettari (potenziali) della Docg

Italia
I vigneti in Alta Langa, il metodo classico d’eccellenza del Piemonte, guarda al futuro

Alta Langa, denominazione dalla carta di identità giovane, visto che la Docg esiste da appena 16 anni, ma dalla lunga storia, oltre un secolo e mezzo, che parte quando nel 1850 Carlo Gancia iniziò a sperimentare con il metodo classico in Piemonte, a Canelli. Territorio d’eccellenza spumantistica italiana poco conosciuto, che guarda ad un rilancio che, gioco forza, deve passare per l’alta qualità, visto che i numeri lo impongono, con una produzione di vino intorno ad 1 milioni di bottiglie all’anno, che nascono da 217 ettari di vigneto (100 ettari in provincia di Asti, 100 in provincia di Cuneo e 17 in provincia di Alessandria), che diventeranno 350 nei prossimi 5 anni, divisi tra 75 famiglie di viticoltori e 25 di produttori (www.altalangadocg.com). Una denominazione in crescita e che ieri, al Castello di Grinzane Cavour, per la prima volta si è raccontata unita ad un pubblico di professionisti, mettendo insieme i produttori storici e che hanno dato via al progetto Alta Langa ormai tre decadi fa (Enrico Serafino, Fontanafredda, Gancia, Giulio Cocchi, Tosti, Banfi) ma anche i produttori che hanno unito le forze in questi anni contribuendo con il loro lavoro a strutturare sempre di più la denominazione (Avezza, Bera, Paolo Berutti, Brandini, Bretta Rossa, Colombo Cascina Pastori, Roberto Garbarino, Germano Ettore, Giribaldi, Pianbello).
“Nasciamo come un gruppo di viticoltori e di case produttrici che stringono un patto per rivalutare uno dei vini più storici del Piemonte - ricorda il presidente del Consorzio, Giulio Bava - e un territorio molto vocato e carico di fascino. La sfida era darsi le regole per fare grande il metodo classico piemontese, partendo dal territorio e dal metodo di produzione. Le capacità in vigna e in cantina erano consolidate ma mancava un indirizzo produttivo che desse riconoscibilità al vino e alla sua immagine. Si è partiti da un approfondito studio del territorio, dei terreni e delle esposizioni sperimentando una ventina di cloni di Pinot nero e Chardonnay sulle colline tra Monferrato e Langa. Una ricerca che ha portato a impiantare 40 ettari di vigneto e a produrre migliaia di ettolitri di vino e bottiglie per dieci anni, fino ad arrivare, nel 2002, ad avere le basi scientifiche per porre le regole di un disciplinare di produzione molto rigoroso”.
Il territorio scelto alla luce della sperimentazione si colloca a cavallo di tre province ed è rappresentato dalle colline al di sopra dei 250 metri. “Pur avendo terreni simili - precisa il presidente Bava - la zona esclude il territorio dei grandi Nebbioli dove le uve maturano molto per le caratteristiche dei vini base spumante”.
Terreni principalmente calcarei, bianchi, poco argillosi, con esposizioni diverse a seconda delle altitudini. Una vigna di Alta Langa, finché è tale, può produrre solo Alta Langa e i suoi vini non possono essere riclassificati ad altre produzioni. I viticoltori quindi sono i primi a dover produrre qualità, altrimenti le uve perdono quasi tutto il loro valore.
L’uva è raccolta a mano in casse, per una resa che in cantina non raggiunge il 65 % in mosto.
A differenza degli altri grandi territori degli spumanti di qualità, uno degli aspetti più importanti della denominazione è che non prevede una cuvée d’ingresso ma solo millesimati.
Alta Langa è un vino di grande longevità, che si valorizza nel tempo e con l’affinamento sui lieviti. Per lo Champagne sono necessari 12 mesi di affinamento per le cuvée d’ingresso, 18 mesi sono richiesti per il Franciacorta: l’Alta Langa prevede, per le sue cuvée più giovani, minimo 30 mesi di affinamento, spiega il Consorzio.
Che per rilanciare il legame tra l’Alta Langa ed il suo territorio, ha stipulato un “Patto con la Terra”, progetto di studio messo a punto con Piercarlo Grimaldi, dell’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo) per difendere le radici storiche e antropologiche delle alte terre di Langa.

“Il patto stipulato con la terra che impegna il Consorzio a custodire il territorio che i nostri antenati ci hanno consegnato con altruistico e generoso amore deve essere a fondamento di uno ereditato sviluppo antropico educato e civile che nel passato riconosce le ragioni logiche e affettive per progettare il futuro - spiega Grimaldi - occorre, dunque, impegnarsi a recuperare i gesti e le parole che ancora conservano la memoria attiva della tradizione. Si tratta di un lavoro di ricerca che deve riportare alla luce le forme e le pratiche del mondo contadino. I saperi di un passato che hanno sempre dialogato con la natura in un quadro di reciproco rispetto tra terra e uomo. È questa l’eredità materiale e immateriale che il Consorzio vuole contribuire a raccogliere e conservare per testimoniare la profonda conoscenza di queste colline che oggi si presentano con due destini a volte contrapposti. La campagna delle terre basse ha conosciuto uno sviluppo che non sempre armonicamente si e integrato nel paesaggio, originando una traiettoria spazio-temporale che ha abbandonato la circolarità del tempo della tradizione, per rappresentarsi come un retta che non conosce più il saggio e mitologico tempo dell’eterno ritorno che, invece, si conserva sulle terre alte”.

Focus - Il primo Metodo Classico italiano
“Quello piemontese è il primo metodo classico italiano”. A dirlo Alessandro Picchi, presidente di Gancia.” Già dall’inizio dell’Ottocento, i conti di Sambuy, influenzati dalla vicinanza geografica con la Francia e con le sue produzioni vinicole, diedero inizio in Piemonte alla coltivazione di alcuni vitigni francesi - Pinot Nero e Chardonnay in particolare - per produrre vini spumanti sul modello di quelli della Champagne.
Dopo gli studi di enologia, nel 1848 Carlo Gancia era partito per Reims con l’obiettivo di apprendere i segreti della produzione dello Champagne. Una volta rientrato a casa aveva avviato insieme al fratello Edoardo una piccola attività, dove aveva iniziato la produzione del primo spumante italiano utilizzando le tecniche di lavorazione del metodo “champenoise”.
La produzione era iniziata con le uve moscato, tipiche della sua zona d’origine, e nel 1865 uscì lo “Spumante Italiano”, il primo Metodo Classico fermentato in bottiglia. Nel 1850, convinto che il suolo piemontese fosse ottimale per la coltivazione e la produzione di uve da spumante, Gancia iniziò un periodo di intenso lavoro e sperimentazione, coltivando Pinot Nero e Chardonnay soprattutto nella zona di Canelli: questa attività di ricerca, mirata alla selezione delle migliori uve per prodotti di prestigio, è stata la base e la spinta per la successiva sperimentazione della produzione di quella che oggi conosciamo come “Alta Langa Docg”. Presto arrivò anche il primo spumante Metodo Classico secco - da uve di Pinot nero e Chardonnay appunto - e il successo della Gancia”.

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