Il dibattito sull’uso dei lieviti indigeni e dei lieviti non-Saccaromyces è uno dei temi che sempre più spesso arricchisce non solo la discussione, ma anche la stessa produzione del vino. Un tema consueto, ma di solito non abbastanza approfondito, e che ha trovato nuove prospettive nella discussione al Congresso di Assoenologi. Superata, forse, la semplicistica visione che tutti i lieviti non-Saccaromyces siano nocivi ad una buona vinificazione, sta diventando condivisa, fortunatamente, la consapevolezza che le vinificazioni spontanee producano vini più complessi e interessanti, specialmente dal punto di vista aromatico. Naturalmente, la questione, anche in questo caso, non può essere “tagliata con l’accetta”. Le vinificazioni spontanee devono essere condotte molto bene e non rinunciando anche al meglio che offre la tecnologia.
“Abbiamo fatto molti passi avanti nella sperimentazione della Starmerella bacillaris - spiega Viviana Corich, docente di microbiologa dell’Università di Padova - un lievito non-Saccaromyces che, da un lato, riesce ad “andare d’accordo” con il Saccaromyces Cerevisiae, e dall’altro produce più glicerolo, controlla meglio lo sviluppo di acidità volatile, favorisce la produzione di esteri e alcol superiore e possiede anche un contenuto effetto di riduzione del grado”.
Ma non solo. “Dato che lo abbiamo isolato per la prima volta nel 2002 - continua Corich - in un vigneto attaccato da botrite, abbiamo cominciato a sperimentarlo anche come biocontrollore”. Certo, l’uso dei lieviti per il bio-controllo in vigneto è ancora una strada lunga, ma potrebbe aprire prospettive per il futuro. “Per adesso i risultati di laboratorio sono confortanti - conclude Corich - e in questo senso potremmo ottenere un lievito capace al contempo di essere un bio-controllore in vigna e un buon lievito per la fermentazione del vino”.
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