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VINO E MERCATI

Cambio generazionale e Consorzi alla base dell’internazionalizzazione delle aziende enoiche

Come emerge dallo studio del professore Lorenzo Zanni, dall’estero arriva il 60% dei fatturati
IMPRESE, INTERNAZIONALIZZAZIONE, vino, WINE&SIENA, ZANNI, Italia
Internazionalizzazione e imprese del vino

L’economia italiana, per continuare a crescere, ha bisogno dei mercati esteri, e questo vale per qualsiasi settore merceologico, a partire da quello del vino, che specie nel suo vertice produttivo ha una predisposizione all’export che supera spesso e volentieri il 60% delle vendite. Ma come si muovono le aziende enoiche del Belpaese, e quali sono le strategie per crescere nel mondo? Come racconta lo studio, presentato a Wine&Siena, dal professor Lorenzo Zanni, ordinario di Economia e Gestione delle Imprese all’Università di Siena, che ha coinvolto oltre 100 aziende di Chianti, Chianti Classico e Brunello di Montalcino, il mercato estero pesa per oltre il 60% dei fatturati delle aziende, che trovano nell’appartenenza ad un Consorzio un fattore decisamente positivo, mentre la dimensione aziendale ridotta non è un freno. La strategia più utilizzata è ancora l’export indiretto, e trattandosi di aziende di vino, quindi a gestione spesso e volentieri familiare, sono pochi i manager esterni, mentre continuano a pesare competenze “ereditate dal passato”, alla base di strategie di branding che si fanno sempre più complesse. Tra gli elementi di novità, l’ampliamento del numero dei mercati esteri emergenti, quasi tutti dall’Asia, i primi segnali di una digitalizzazione che sta diventando sempre più realtà ed il passaggio generazionale al timone delle imprese del vino, che insieme all’inserimento di figure manageriali esterne è il vero punto di forza dell’internazionalizzazione del settore.
Parlando di branding, secondo le aziende tra le strategie più importanti c’è la Denominazione di origine, giudicata fondamentale per il successo all’estero del proprio vino, davanti al nome del prodotto, con il nome del territorio regionale al terzo posto, seguito dal nome del territorio locale (ad esempio Bolgheri o Gaiole in Chianti, da non confondere quindi con la denominazione), quindi il nome del territorio nazionale, ossia l’italianità, e solo per ultimo arriva il nome dell’azienda, sorprendentemente percepito come un aspetto non fondamentale per il successo di un vino all’estero. In termini di distribuzione del fatturato estero, come accennato, l’esportazione indiretta, in cui i distributori sono italiani e gli importatori sono stranieri, è ancora il canale per cui passa più del 60% del giro d’affari, con l’esportazione diretta che vale il 20%, lasciando così quote marginali all’e-shopping aziendale diretto ed alle vendite online da parte di siti terzi. A livello di stimoli alla crescita sui mercati esteri, l’azione dei Consorzi è considerata come la più efficace, seguita dal passaggio generazionale della guida aziendale, dalle consulenze private e dal reclutamento di manager dedicati all’export. È interessante poi notare come, pur essendo presenti su tanti mercati ormai da molti anni, le aziende non si sentano di conoscere appieno né i mercati su cui sono già, né le esigenze dei singoli mercati, né le potenzialità dei propri competitor. Nessuna sorpresa dai mercati di riferimento, con gli Usa in testa, seguiti da Germania, Canada, Svizzera, Gran Bretagna Cina, Belgio e Giappone.

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