Mangiare e bere è sempre un atto politico, per lo meno nella scelta di acquistare certi prodotti, di certe marche o provenienti da certi Paesi. E il Tribunale Federale del Canada ha ribadito come questo sia un diritto basilare per i consumatori canadesi, trattandosi di un’estensione della libertà di esprimere idee politiche. Il caso scatenante, seppur non nuovo, è quello del vino proveniente da Israele, etichettato come “prodotto in Israele”, ma in realtà prodotto in insediamenti israeliani in Cisgiordania, territorio palestinese. Come si legge sul sito La Revue du Vin de France la dicitura in etichetta era stata accettata dalla Canadian Food Inspection Agency perché tecnicamente soddisfaceva le linee guida dei dettagli di libero scambio tra Canada ed Israele; ma la decisione dell’Acia è stata ribaltata dal Tribunale Federale, che ha definito “falso e fuorviante”. “Gli oppositori degli insediamenti israeliani in Cisgiordania - spiega il magistrato Anne Mactavish, motivando la sua decisione - hanno bisogno di informazioni accurate sull’origine di un prodotto per poter esprimere la loro opposizione. L’identificazione dei vini come prodotti israeliani impedisce ai consumatori di esprimere le loro opinioni politiche attraverso le loro scelte di acquisto, limitando la loro fondamentale libertà di espressione garantita dalla Carta. "Diritti e libertà canadesi, costituzionali. Di conseguenza - continua Mactavish - la Corte ha concluso che le etichette israeliane di questi vini sono false e fuorvianti e che interferiscono con la capacità dei consumatori canadesi di prendere decisioni di acquisto informate, razionali e coscienziose”.
Come già detto, il provvedimento contro questa dicitura in etichetta non è il primo: nel 2016, in Francia, il Ministero dell’Economia aveva voluto che si aggiungesse la frase “colonia israeliana” sia sui vini che sui prodotti alimentari provenienti dagli insediamenti israeliani in Cisgiordania e sulle alture del Golan, occupate dal 1967.
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