Sentenza ribaltata per il caso Wine Kit dopo che nel febbraio 2016, dal tribunale di Reggio Emilia, era arrivata l’assoluzione, per insussistenza del fatto, in merito all’accusa che andava dall’associazione a delinquere al concorso in frode e contraffazione: i wine kit posti in vendita con nomi dei vini italiani avrebbero causato un danno all’industria agroalimentare nazionale del settore vinicolo per almeno 200 milioni di euro. A distanza di tre anni è però arrivata la sentenza della Corte di Appello penale di Bologna che ha riformato la sentenza di 1° grado del Tribunale penale di Reggio Emilia condannando uno degli imputati per il reato di cui all’art. 517 del codice penale “vendita di prodotti con segni mendaci”. Dunque, come viene anche pubblicato da una una nota di Federdoc e Cia che si erano al tempo costituite parte civile, “i nomi riportati sulle etichette contenute all’interno dei kit, erano perfettamente idonei a trarre in inganno l’acquirente sulla origine e sulla provenienza dei mosti utilizzati per comporre il kit, come quelli di origine territoriale dei vitigni da cui derivano i vini DOP contrassegnati da tali nominativi.” (Pag. 11 sul capo E)- artt. 81, 110, 517 c.p.).
Per Riccardo Ricci Curbastro, Presidente Federdoc, “questa sentenza costituisce un primo traguardo in quanto non sono più in vendita sul mercato internazionale Wine Kit che utilizzano riferimenti dei nostri vini DOP o IGP. Un risultato - sottolinea Ricci Curbastro - che ci consente di contenere la perdita economica ma anche di contenere il danno di immagine e rafforzare l’attività di tutela nei confronti del consumatore internazionale”. Un plauso alla riforma della sentenza di Reggio Emilia è arrivato anche da Dino Scanavino, Presidente di Cia-Agricoltori Italiani: “Con questa sentenza, la Corte di Appello di Bologna ha lanciato un segnale forte di trasparenza alimentare che va nella giusta direzione di tutela degli interessi di produttori e consumatori. Pratiche come quelle del Wine Kit, se non contrastate nelle sedi opportune, rischiano di danneggiare il sistema delle denominazioni di origine europee che, ormai da circa trenta anni, rappresenta il più importante elemento di distintività e tipicità che caratterizza le nostre produzioni agroalimentari, rendendole uniche nel mondo”.
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