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ANALISI MIBD

Cina, tra i fine wine al top nell’alta ristorazione Gaja, Antinori, Tenuta San Guido e Ornellaia

Crollano le importazioni, ma nel segmento premium vanno forte Toscana Igt, Barbaresco, Barolo, Brunello, Bolgheri e Amarone

Un deciso recupero nella seconda parte dell’anno permetterà alle esportazioni enoiche italiane verso la Cina di chiudere il 2019 senza eccessivi drammi, seppure in territorio negativo (-3,8%, secondo le stime Vinitaly-Nomisma). Eppure, il cielo sulla Cina è tutt’altro che terso, al contrario, c’è di che preoccuparsi: secondo la Camera di Commercio Cinese, citata dallo studio della società di analisi MiBD, nei primi cinque mesi 2019, 2.236 importatori di vino hanno dismesso la loro attività, un crollo del -35%, tanto che oggi operano sul territorio nazionale 4.175 importatori contro i 6.411 di appena qualche mese fa. Un disamore, quello dei consumatori cinesi per il vino, certificato dai numeri della China Association of Imports and Exports of Wine & Spirits, che a giugno avevano quantificato il calo delle importazioni in un -19,45% a valore e del -14,09% a volume.
Un quadro sconfortante e grigio, penetrato però da un raggio di sole: nella prima piazza per consumi del Paese, quella di Shanghai, i territori ed i grandi brand italiani sono stati capaci di ritagliarsi un ruolo importante. Dall’analisi dei 18.784 vini in carta nei 180 fine restaurant della città, ad un prezzo superiore di 250 euro, emerge che tra le denominazioni più presenti ci sono il Toscana Igt, al quarto posto dietro a Pauillac, Napa Valley e Margaux, il Barbaresco, al n. 6, il Barolo al n. 9, il Brunello di Montalcino al n. 10, Bolgheri al n. 13, e l’Amarone della Valpolicella al n. 18. Tra i grandi brand del vino italiano, invece, il più presente è Gaja, alla posizione n. 4, dietro a tre mostri sacri di Bordeaux come Château Lafite Rothschild, Château Latour e Château Mouton Rothschild, mentre al n. 6 c’è Antinori, al n. 8 Tenuta San Guido ed al n. 14 Ornellaia.

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