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IL MERCATO DI DOMANI

Consumatore finale, senza intermediazione: il target dei produttori di vino in era post Covid

“Milano Wine Week”: le riflessioni di imprenditori, critici e accademici del mondo dal “Wine Business Forum” by Business Strategies

Innovazione, coraggio, opportunità da cogliere in tempo di crisi e soprattutto un target chiarissimo: il consumatore finale, che i produttori di vino d’Italia e del mondo, devono e vogliono raggiungere in maniera sempre meno mediata, e sempre più diretta, con tutti i mezzi fisici e digitali che oggi sono a disposizione. Il tutto in un quadro in cui le imprese del vino di tutto il mondo hanno risposto all’impatto del Covid e ora guardano al futuro con qualche differenza nelle priorità, a seconda del Paese, ma con tratti comuni: prima una riduzione dei costi in vigna e in cantina, dove possibile, poi un rilancio degli investimenti in digitale ed in comunicazione, per cercare di superare un guado, quello della pandemia, che segnerà la differenza tra aziende capaci e strutturate e altre meno preparate, e lascerà un mondo, del vino e non solo, in buona parte diverso da quello che abbiamo vissuto fino ad oggi. È il messaggio, in estrema sintesi, che emerge dal “Wine Business Forum”, firmato da Business Strategies di Silvana Ballotta, che, sul palco della “Milano Wine Week”, e via web, ha riunito studiosi, produttori e critici da ogni angolo del mondo, con personalità come il critico e fondatore di Vinous Antonio Galloni, vertici di cantine italiane come Riccardo Pasqua, ad di Pasqua Vini, Cristina Ziliani della griffe franciacortina Berlucchi, Chiara Soldati de La Scolca, riferimento storico del Gavi, Armando Serena, alla guida di Montelvini, es ancora, Aurélie Ringeval-Deluze (Università di Reims), Gilles Brianceau, proprietario di Chȃteau de Plassan a Bordeaux, Daniel Daou, proprietario di Daou Family Estates a Paso Robles, in Usa, Rafael del Rey, dg dell’Osservatorio Spagnolo del Mercato del vino, Armando Maria Corsi (Università di Adelaide), Jean-Marie Cardebat (Università di Bordeaux) e Davide Gaeta (Università di Verona), vertici della “European Association of Wine Economists”, che ha tracciato un quadro, ancora parziale, da una ricerca ancora in corso, che ha sondato sentiment e preoccupazioni di produttori di Paesi come Usa, Germania, Sudafrica, Germania e Italia, “anche se soprattutto nel Nord del Paese”, ha specificato il professor Davide Gaeta. “Sintentizzando, l’impatto è stato avvertito molto più forte in Paesi come Sudafrica e Spagna, meno in Germania, con Usa e Italia che si posizionano in mezzo. Ma, comunque, il danno c’è stato per tutti, ed emerge che il fronte dei costi è quello che preoccupa di più, mentre in prospettiva, soprattutto ora che siamo davanti ad un trimestre decisivo per il mercato del vino, c’è grande preoccupazione soprattutto per le ripercussioni sui mercati internazionali che su quelli interni, e ovviamente quello che spaventa di più è il calo dei ricavi, ancora da stimare con esattezza, ma che forse sarà più contenuto di quanto previsto nei mesi del lockdown”.Le imprese del vino, ha sottolineato Cardebat, “da un lato hanno risposto tagliando i costi in vigna ed in cantina, da prima, poi hanno iniziato a ridirezionare gli investimenti in comunicazione e marketing, soprattutto sul fronte dell’e-commerce e della vendita diretta, oltre che di accoglienza in cantina, dove è stato possibile, perchè se c’è una cosa che il Covid ha evidenziato, è che la catena di valore tra produttore e consumatore era troppo lunga, e questo è un aspetto davvero importante, gli investimenti in futuro si concentreranno sullo sforzo commerciale e sul contatto diretto del consumatore”.
Consumatore che è il focus vero dei produttori di vino, come ha ricordato Antonio Galloni, tra i critici più autorevoli a livello internazionale e grande conoscitore dell’Italia enoica, intervistato da Silvana Ballotta: “io vedo questo momento di crisi come una grandissima opportunità, sono i momenti che fanno le differenze tra aziende ben gestite e quelle che non lo sono. Qui in Usa vanno molto bene i vini di basso prezzo, da supermercato, ed i vini di altissima gamma, lo abbiamo visto con le en primeur di Bordeaux, con aste come quella della cantina del Del Posto di Bastianich, che hanno realizzato prezzi altissimi. La fascia media è quella che fatica di più, perchè è quella in cui è più difficile distinguersi. Ma quello che vediamo, anche con Vinous, è che la gente ha ancora voglia di imparare, di fare esperienze, e si deve arrivare direttamente al cliente finale. Per tanto tempo c’è stato molto appoggio su canali distributivi, importatori, distributori, agenti, ma ora molto di questo lavoro non si può fare per le restrizioni anti Covid, produttori e agenti non possono viaggiare o fare riunioni, e allora si deve arrivare al consumatore finale e fidelizzare le persone sul proprio brand. Servono canali diversi per far tenere il business, perchè non ci si può fermare. Io, per esempio, non avrei annullato ProWein o Vinitaly, è vero - ha continuato Antonio Galloni - che era il momento più difficile e scuro quando è stato deciso, ma avrei cercato di fare appuntamenti in qualche modo, serve struttura, regolarità. E poi dico che si deve continuare a puntare sull’identità, perchè vini buoni si fanno in tutto il mondo, e quindi devo cercare qualcosa di unico e non replicabile, come un Chianti Classico, un Brunello di Montalcino, un Amarone della Valpolicella, un Gavi, un Soave, un Barolo, vini di territorio, insomma, di cui l’Italia è Paese più ricco, è fondamentale, e sempre più vini più specifici legati ai territori. Serve coraggio”.
Coraggio che hanno messo in campo le cantine italiane, continuando a puntare “sui nostri brand forti legati alla storia, investendo in qualità del prodotto e capitale umano”, ha detto Cristina Ziliani di Berlucchi, una delle griffe del Franciacorta, “innovando la storicità, disegnando strategie sul futuro restando fedeli al passato, con le cantine che hanno un ruolo sociale di occupazione e innovazione nei territori”, ha detto Chiara Soldati deLa Scolca, dal Gavi, territorio in crescita in era di Covid. “Anche Asolo è addirittura cresciuto nelle esportazioni”, ha detto Alberto Serena, alla guida di Montelvini (nel Prosecco Docg), riferimento del territorio, “e abbiamo registrato una grande affezione da parte dei clienti, e da qui si riparte”.
“È proprio in queste fasi che si deve spingere sull’acceleratore, l’evoluzione c’è quando ci sono momenti di rottura - ha aggiunto Riccardo Pasqua, ad Pasqua Vini - e ora dobbiamo investire davvero per avvicinarci ai consumatori finali, questi mesi ce lo hanno insegnato.
Dobbiamo usare bene gli strumenti digitali, non solo esserci, perchè parliamo ai consumatori dei prossimi 30 anni. Dall’Europa arriveranno tanti soldi da investire, ora sta a noi farlo nel modo migliori, non ci sono più scuse, sia per il digitale, che per migliorare ancora sul tema della sostenibilità”. C’è anche chi guarda al futuro, utilizzando strumenti innovativi dal punto di vista finanziario per il settore, “come il privilegio bancario mettendo a garanzia il vino, in questo caso il Brunello di Montalcino, anche quello ancora atto a divenire, grazie ad un lavoro fatto insieme a Banco Bpm e Valoritalia”, ha raccontato, da Montalcino, Simone Pallesi, ceo di Castiglion del Bosco.
Storie di uno scenario, quello italiano, che è comune un po’ a tutti i territori del mondo, dove chi ha saputo investire in digitale in maniera strutturata, con degustazioni on line e “web dinner” ben organizzate ha quasi compensato le perdite nell’horeca, ha raccontato da Paso Robles, in California, Daniel Daou, proprietario di Daou Family Estates.
Più difficile lo scenario per chi era orientato soprattutto sui consumi fuori casa e da festa, e magari arrivava anche da annate difficili in vigna ed era già penalizzato da situazioni economiche difficili pre-Covid, come la Brexit ed i dazi Usa o la frenata dell’economia cinese, come raccontato da Ringeval-Deluze dell’Università di Reims-Champagne, e daGilles Brianceau, proprietario di Chȃteau de Plassan a Bordeaux, mentre tutto sommato, dopo i primi mesi durissimi, le cose hanno tenuto anche in Australia, sia con il turismo interno, sia con un export che ha perso fino ad oggi sono il -1%, fermandosi a 2,8 miliardi di dollai, ha ricordato Armando Maria Corsi dell’Università di Adelaide.
Certo, il quadro mondiale è complesso, come raccontato da Rafael del Rey, dg dell’Osservatorio Spagnolo del Mercato del vino: tra marzo e giugno 2020, sul 2019, gli scambi mondiali di vino hanno lasciato sul terreno 1,8 miliardi di euro, il -17%. Eppure si deve andare avanti, indicando delle priorità di azione, indicate dai produttori. Fare sistema per affrontare i mercati internazionali valorizzando le identità e le “storie” dei territori per mantenere il valore dei nostri vini; raccontare i vini e le loro storie ovunque nel mondo, anche nei Paesi in cui ancora non arriva neanche una bottiglia; garantire la sicurezza dell’occupazione nel settore; consolidare i mercati stranieri senza abbandonare il mercato interno; sostenere il mondo dell’horeca. “Mai come oggi come oggi abbiamo bisogno di imprenditori visionari, ossia capaci di avere visione sul futuro e coraggiosi per intraprendere strade di innovazione e sviluppo”, ha concluso Silvana Ballotta, a capo della Business Strategies, organizzatrice da anni del “Wine Business Forum”, sicuramente uno dei punti più qualificanti della “Milano Wine Week”.

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