Giovani e laurati, una volta terminati gli studi scelgono di ritornare alla terra, per inseguire il proprio sogno imprenditoriale, sfidando mille difficoltà: sono i contadini per passione, una tendenza in crescita fatta di ben 30.000 ragazzi che nel 2016/2017 hanno presentato in Italia domanda per l’insediamento in agricoltura dei Piani di sviluppo rurale (Psr) dell’Unione Europea, con ben il 61% concentrato al Sud e nelle Isole, e il 19% al Centro e il resto al Nord. Sullo sfondo c’è una percezione sociale dell’agricoltura profondamente cambiata, perché se fino a poco tempo fa il lavoro del contadino era visto come un mestiere duro e poco gratificante, adesso la prospettiva sembra essersi ribaltata, e molti più giovani studiano e si preparano per diventare coltivatori, lontano da stress e ritmi frenetici.
Un esodo inaspettato e forse inimmaginabile, paragonabile a quanto accaduto, in senso inverso, a seguito della rivoluzione industriale, ma con molte cause concomitanti, dalla crisi degli altri comparti industriali alla maggiore diffusione di stili di vita alternativi, al lento deteriorarsi nella percezione sociale di professioni considerate prestigiose fino a pochi anni fa.
“Si vede sempre di più un ritorno all’agricoltura - afferma il professor Filippo Arfini, docente di Economia ed Estimo Rurale all’Università di Parma, a confronto nei giorni scorsi con colleghi studiosi ed esperti al primo City of Gastronomy Festival di Parma, Città Cretiva Unesco per la Gastronomia - veniamo da un’epoca in cui chi non aveva la possibilità di studiare, o non ne aveva voglia, andava a zappare. Per il lavoro del contadino c’era una bassissima considerazione sociale. Da un po’ di tempo a questa parte, invece, un numero sempre crescente di ragazzi sceglie di dedicarsi alla terra, o di non abbandonarla, diversamente da quanto accadeva nel recente passato”.
“Chi si impegna in agricoltura oggi - sottolinea Cinzia Scaffidi, vicepresidente di Slow Food Italia - è animato da una consapevolezza molto differente da quanto accadeva in passato. L’agricoltura rappresenta per queste persone una scelta e non una condizione da cui fuggire. Una motivazione che si traduce anche in scelte imprenditoriali diverse, che puntano più alla qualità che alla quantità della produzione, in anticipo rispetto anche alle ultimissime risoluzioni della Fao”.
Un approccio coraggioso che le Istituzioni politiche, sia a livello nazionale che europeo, non sembrano però, nonostante tutto, ancora pronte a premiare. Ma qualcosa di nuovo sembra intravedersi, a partire dagli investimenti pubblici: “in Emilia Romagna negli ultimi anni la Regione ha investito oltre 50 milioni di euro in innovazione tecnica applicata al settore - ricorda Patrizia Alberti della Direzione generale Agricoltura Caccia e Pesca della Regione - cifra che, anche in termini percentuali, va ben oltre la media nazionale, e rende la Regione uno dei principali punti di riferimento in Europa”.
Ma molte delle criticità proprie del comparto naturalmente permangono: “il sistema presenta numerose variabili come il clima, il consumo energetico, la biodiversità, gli aspetti sociali e le abitudini alimentari in continuo cambiamento - ha detto Mario Marini della Confagricoltura Parma - gli ultimi dati raccolti proprio in Emilia Romagna mostrano come, parallelamente a questa fase di crescente attrattiva della terra, si sta registrando una costante diminuzione del numero delle aziende attive e attestano che il rilancio dell’agricoltura, al momento, riguarda soprattutto le grandi realtà”.
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