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Corriere Della Sera / Italie

Piccoli enologi crescono e partono per il mondo … Cile, Sudafrica, Francia, Australia, Stati Uniti: sono sparsi nelle cantine di tutto il mondo gli enologi che escono dall’Istituto Agrario di San Michele all’Adige. A una decina di chilometri a nord di Trento, sorge una delle eccellenze a livello internazionale per quel che riguarda la formazione, la ricerca e gli studi sul vino e affini. L’Istituto di San Michele all’Adige vanta 135 anni di storia, 750 studenti all’anno, 600 dipendenti e un campus di 24 mila metri quadrati. Ma oltre a sfornare enologi di grido, l’Istituto ha fatto passi da gigante anche nella ricerca, mappando, primo al mondo, il patrimonio genetico della vite. Bisogna risalire al 1874 per fissare la data di fondazione dell’Istituto Agrario di San Michele all’Adige, nato quando ancora il Trentino era parte dell’Impero austroungarico: da scuola agraria con annessa stazione sperimentale, l’Istituto ha attraversato tre secoli di storia diventando un punto di riferimento irriducibile per l’enologia e l’agricoltura di tutto il mondo. Vi si fa formazione con corsi in materie agrarie, agroalimentari, ambientali e forestali: 750 studenti, che superano quota mille se si considera il corso di laurea in viticoltura ed enologia, e i corsi di aggiornamento per chi già lavora nel settore. I ragazzi che frequentano la scuola imparano a fare il vino cominciando dalla campagna, grazie anche a un’azienda agricola di 200 ettari di proprietà dell’Istituto, passando dalla cantina, all’amministrazione di azienda e al marketing. Non è un caso se gli enologi targati San Michele si trovano un po’ in tutto il mondo: “Ci capita di imbatterci nei nostri ex studenti in Cile, Sudafrica, Australia, persino Francia - spiega il direttore generale Alessandro Carlo Dini - oltre ad avere una nutrita colonia in moltissime cantine siciliane”. Nell’era dello slogan “bere meno, bere meglio”, gli enologi diplomati a San Michele sono infatti materia preziosissima per chi vuole produrre vino di alta qualità. Ma il vero asso nella manica dell’Istituto è il connubio tra la formazione classica di enologi, enotecnici e agronomi, e le attività di ricerca e innovazione, con la recente trasformazione in Fondazione che ne aumenta le competenze e l’autonomia scientifica. Solo in un campus come quello trentino si poteva arrivare alla mappatura del genoma della vite, un passo decisivo per conoscere i meccanismi biologici, ma con ricadute pratiche molto concrete: si potrà lavorare sul patrimonio genetico della vite per selezionare nuove varietà e renderle naturalmente più resistenti alle malattie, senza fare più ricorso ad agenti chimici. La sperimentazione dell’Istituto non si ferma però al laboratorio: nei 50 ettari di vigna del campus, vengono coltivati i 22 vitigni autoctoni del Trentino, una sorta di archivio storico-enologico del patrimonio vitivinicolo del Trentino, che finisce ovviamente anche in bottiglia. Provare per credere: lo spumante Trento Doc Riserva del Fondatore 2005 ha appena vinto i Tre Bicchieri del Gambero Rosso.

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