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Corriere Della Sera / Italie

Messer Teroldego doc, il re dei rossi ... Dai grandi La-Vis, Cavit e Mezzacorona, ai piccoli Endrizzi, Poyer-Sandri e Foradori... C’era e c’è tuttora un problema di spazio, dovuto alla parcellizzazione delle vigne trentine, risolto negli anni con la qualità. Secondo le regole delle eccellenze. Che in viticoltura vanno sotto il nome di Trento Doc, sigla della spumantistica e fiore all’occhiello della produzione, otto milioni e mezzo di bottiglie vendute nel 2008, ma con una scommessa ambiziosa: raddoppiarne prestissimo il numero. “Non farlo significherebbe venir meno alla vocazione della regione” dice Fausto Peratoner, presidente della Trento Doc (27 soci) e direttore della La-Vis una delle tre grosse cooperative da Terzo millennio, insieme a Mezzacorona-Rotari e Cavit in cui confluiscono le uve di 1.400 soci. Una vocazione in bollicine che si sposa con i 3 mila ettari dedicati alla coltivazione di chardonnay e pinot nero, essenziali per la fermentazione a metodo classico: bottiglia per bottiglia. Quest’anno la tenacia ha premiato l’Aquila Reale di Cesarini Sforza, mitica cantina acquistata da La-Vis (il 70% del mercato è per l’estero), conferendole i 3 bicchieri. Di più hanno realizzato i colleghi della Cavit, fregiandosi del titolo di spumante dell’anno per il già blasonato Altemasi Riserva Graal del 2002. Ma dietro premi e conferme si cela un lunghissimo lavoro sul campo, chiamato dai francesi terroir; qui invece è pietra calcarea, altimetria che oscilla fra i 200 e gli 800 metri e soprattutto torrenti. Come il Noce della Val di Non, zona sassosa e drenante, ideale per messer Teroldego, naturalmente doc, il re dei rossi di casa nella piana Rotaliana, il vino che, invecchiato dieci anni, può raggiungere l’impossibile. Vedi il Nos di Mezzacorona, quest’anno 3 bicchieri dal Gambero Rosso, per una produzione di 10 mila bottiglie all’anno. Numeri apparentemente bassi ma che ne confermano l’eccellenza: “Siamo i maggiori produttori di Teroldego, anche se costituisce soltanto il 10% del nostro giro d’affari” dice Claudio Rizzoli, ad del gruppo Mezzacorona: 40 milioni di bottiglie nel 2008 esportate principalmente negli Stati Uniti (32%), in Germania (30%) e Scandinavia (10%). Con una curiosità: sulle migliori tavole americane non è raro vedere la super riserva (5 anni di invecchiamento) del “Rotari Flavio”, nei Paesi del Nord Europa invece cominciano ad apprezzare una bottiglia di robusto Teroldego, fratello serio del Marzemino, l’altro rosso trentino. Due vini eccellenze di produttori più piccoli ma non per questo meno rigorosi. Basta sorseggiare un calice di “Granato”, residenza tra Mezzocorona e Mezzolombardo, per capirlo: “È il nostro rosso nobile in cui ho cercato di recuperare, attraverso l’agricoltura biodinamica, cinque vigne diverse per altrettante combinazioni di sapori”. Dietro le parole e le 150 mila bottiglie all’anno prodotte da Elisabetta Foradori, dell’omonima cantina, si intuisce la passione per un vino “difeso” dai Dolomitici, undici produttori motivati dalla voglia di preservare l’identità territoriale. Luigi Spagnolli della Cantina Vilar, lo fa già per le sue 5 mila bottiglie di 2008 Marzemino sotto protezione dell’ortica, nemico naturale della clorosi ferrica. Poyer e Sandri a Faedo, quelli del Palai Muller Thurgau, si ritrovano sulla stessa lunghezza d’onda coccolandosi il loro “Merlino”, dal 2004 il primo vino fortificato italiano: lagrein più brandy invecchiato. L’ibrido, in tema di Teroldego, premia se il Gran Masetto, frutto di tre mesi di uve appassite, ha ottenuto due bicchieri nel 2010. “Sono seimila bottiglie richiestissime all’estero; l’80% della produzione finisce sulle tavole di Dublino, Zurigo e Amburgo” ricorda Paolo Endrici della Cantina Endrizzi, 150 anni di vita. Si resta in zona podio fra i 13 ettari di vigna di Franco Dorigati, l’uomo del Methius brut riserva da tre bicchieri (15 mila bottiglie all’anno, oltre alle 35 mila di Teroldego) e del Rebo, ennesimo incrocio, stavolta tra Teroldego e Merlot: un omaggio all’enologo Rebo Rigotti dell’istituto di San Michele all’Adige.

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