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Corriere Della Sera / Italie

Sangiovese e Lambrusco. Un brindisi all’eterna sfida ... La competizione tra frizzanti e fermi termina in perfetta parità... Una sfida tutta muscoli. Quella tra Sangiovese e Lambrusco, in Emilia-Romagna, frantumazioni territoriali a parte, rischia di diventare una eterna battaglia senza vincitori né vinti. Frizzanti in Emilia, fermi in Romagna, i vini di questa terra hanno una notevole potenzialità. Strenuo difensore della forza del Sangiovese è Enrico Drei Donà, giovane signore con podere sulle colline forlivesi di Vecchiazzano: “Non siamo una copia della Toscana, ci teniamo a far valere la nostra identità”. Presidente dell’Agivi, che rappresenta i giovani imprenditori del vino e del Convito di Romagna, appena otto produttori iscritti in difesa delle ragioni di cuore e qualità, Drei Donà esalta quelle controverse diversità territoriali: “Possono e debbono diventare la nostra vera forza-sorpresa per il futuro”. Con “Pruno”, una riserva eccellente, prodotta dalla tenuta di famiglia “La Palazza”, 135 mila bottiglie, vengono esaltate le caratteristiche di un terreno argilloso nell’area intorno a Predappio. Diversa da quella dei vigneti che consentono, sulla collina di Coriano, a terreni marnoso-arenacei, di realizzare “Avi”, il fiore all’occhiello di Andrea Muccioli e dei ragazzi della comunità di San Patrignano. Gli stessi colli riminesi che hanno permesso a un’altra etichetta della comunità, il “Montepirolo”, taglio bordolese, una crescita davvero entusiasmante con l’annata ’06. E ancora: piccoli colpi di teatro come per l’Albana passito messo in bottiglia dalla Fattoria Zerbina, che produce qualità e “Pietramora”, Sangiovese di carattere. Il sogno in bottiglia di Umber to Cesari, ex arbitro di calcio, che da Castel San Pietro offre un’ottima interpretazione dell’identità romagnola. Identità per identità, anche il Lambrusco rivendica il ritorno sugli scudi. Sorbara o Reggiano, o Grasparossa di Castelvetro? I colli Bolognesi soffrono, ma aziende come la famiglia Medici di Reggio Emilia e Chiarli 1860 di Modena lasciano ben sperare. Un rilancio che lentamente coinvolge anche grandi colossi come Cavicchioli e l’abilità imprenditoriale di commercianti come la famiglia Ceci. C’è una terza via che cresce ed è guardata con ammirazione. La strada percorsa dalla famiglia Morini e dai loro Poderi con vigne sui colli faentini a Torre di Oriolo dei Fichi. Si tratta dell’autoctono Centesimino, un rosso individuato nel 1940 e iscritto all’albo nazionale dei vigneti nel 2003. Alessandro Morini lo ha studiato, curato e messo in bottiglia chiamandolo Savignôn rosso, come gli aveva consigliato un entusiasta Veronelli. Con lui altre cinque cantine della zona hanno creduto nel progetto. “Il nome Savignôn n non ha nulla a che vedere con la celebre varietà francese”, puntualizza Alessandro. Savignone, a Faenza, significa vino rosso e quello che finisce in bottiglia, con lo stesso nome in etichetta, conquista e sorprende. Oggi sono quasi 4 gli ettari di vigneto coltivati a Centesimino, dal Poderi Morini. Ma il primo exploit di questa uva vendemmiata tardivamente, è arrivato con un superbo passito rosso, “Rubacuori”, sempre in carta da Pinchiorri di Firenze. La terza via, ma soltanto numericamente, è “Traicolli”, 12 mesi in tonneaux e altrettanti in vetro. Struttura, eleganza e sentori di ribes per questa bottiglia che vanta etichetta firmata da Pablo Echaurren, figlio dell’artista cileno Sebastian Matta. Un segno che contraddistingue tutte le tipologie prodotte dai Poderi Morini.

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