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ANALISI WINENEWS

Covid, il vino italiano soffre ma non crolla. Con tante differenze tra tipologie di azienda

Se c’è chi perde (soprattutto in Horeca), c’è anche chi cresce (in gdo e nel collezionismo). Decisiva la fine dell’anno, più incerta che mai
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La resistenza del vino italiano al Covid, nei sentiment registrati da WineNews

Difficile, quasi impossibile, oggi più che mai, sbilanciarsi in stime e previsioni di mercato, anche nel mondo del vino. Ma pur in un quadro complesso e inedito, dei trend fino ad oggi, emergono, ed i sentiment sono abbastanza delineabili. Quasi in una sorta di “dimmi che azienda sei, e ti dirò in che terreno ti trovi”, in termini di variazione di fatturato. Perchè se il settore nel complesso soffre, ma non crolla, delle differenze ci sono, e anche importanti. Per le aziende molto orientate sulla Gdo, per esempio, con vini che puntano forte sul rapporto tra qualità e prezzo, il 2020 è stato fin qui un anno di crescita, anche importante, con picchi intorno al +10%, almeno fino ad ottobre. Al contrario, per quelle focalizzate soprattutto sulla ristorazione e sul fuori casa, si arriva anche al -30%, con perdite più contenute, magari, per produttori che hanno comunque potuto far leva su brand aziendali importanti e conosciuti, quasi sempre sostenuti da denominazioni (ovvero brand di territorio), particolarmente forti e blasonati. Per i pochissimi che, invece, sono target privilegiato dei collezionisti del mondo, ancora, si registrano vendite tutt’altro che in calo, e in alcuni casi a quotazioni ancora più alte che in passato. Così come ha resistito abbastanza bene, ed è in linea con il 2019, chi da anni ha investito e costruito un mix, sia in termini di prodotto, a copertura di più fasce di prezzo, che di canali, dalla ristorazione alla grande distribuzione, senza trascurare l’on-line, letteralmente esploso in questi mesi, che di mercati, con un presenza diffusa in tanti Paesi del mondo (con un export che, peraltro, ha resistito abbastanza bene nei mercati più importanti, Usa in testa), e non concentrata su pochi obiettivi. Ed è stato capace, dunque, di ottimizzare la presenza, in Italia e nel mondo, nel consumo domestico, che si sia concretizzato attraverso gli acquisti in distribuzione, o attraverso il food & wine delivery nelle sue diverse forme. Con la casa che è tornata fulcro, gioco forza, dei consumi enogastronomici non solo di necessità, ma anche di piacere e di evasione. Per provare a tirare una sintesi di questi che più che dati sono sentiment e testimonianze di chi il mercato lo vive da protagonista tutti i giorni, anche in questi tempi difficili, possiamo dire che al 31 ottobre 2020, in media il comparto vino italiano, alla produzione, registrano perdite tra il -10% ed il -20%. Risultato di una partenza di anno in grande spolvero in Italia e all’estero, del crollo dei mesi di marzo, aprile e maggio, della ripresa, anche robusto, tra luglio-agosto-settembre, e poi della nuova battuta di arresto, che stiamo vivendo proprio in questi giorni.
Difficilissimo, vista la rapida evoluzione del quadro Covid e delle misure di contenimento, capire cosa sarà dei prossimi mesi, determinanti per il mercato del vino, con la fine dell’anno che, per tamntissime cantine, rappresenta il 25%-30% del fatturato. Anche qui, sbilanciandosi in un tentativo di sintesi, se dicembre consentirà una certa libertà di spostamenti e di socialità, con una riapertura della ristorazione anche alla sera, il quadro potrebbe migliorare, e portare il saldo annuale complessivo intorno ad un -10%/-15% che sarebbe da salutare quasi come un trionfo. In caso contrario, se arrivassero norme ancora più restrittive per contenere i contagi, la perdita potrebbe attestarsi intorno al -25%/-30%. È il quadro che emerge dall’indagine di WineNews che, in maniera anonima e riservata (e non scientifica), ha raccolto le testimonianze di oltre 25 realtà di primo piano del vino italiano, anche molto diverse tra loro: piccoli produttori di grande blasone focalizzati sulla ristorazione e sul collezionismo, grandi aziende strutturate capaci di coprire ogni fascia di prezzo e più canali distributivi, e grandi cooperative del vino più orientate sulla distribuzione moderna.
Un quadro ovviamente difficile, ma potenzialmente non a tinte così fosche, nel complesso, come era lecito pensare nei mesi scorsi, anche alla luce di alcune considerazioni. A partire dal fatto che, nel contensto di un settore agroalimentare storicamente anticiclico, il vino, con il lavoro di produttori e comunicatori, negli anni, si è affrancato dall’agricoltura tout court, e da prodotto di prima necessità (come pasta o pomodoro, che, in questi mesi, hanno registrato addirittura incrementi a doppia cifra) è diventato prodotto di piacere, voluttuario. E la cui resistenza nei consumi, alla luce di questo, è ancora più significativa. Perchè per quanto elemento importante della quotidianità di molti, e piccolo lusso accessibile per tanti, in quanto tale, il vino, non è essenziale nelle priorità dei consumi delle famiglie d’Italia e del mondo, in questa fase in cui devono fare i conti con mille difficoltà anche di tipo economico, e che pure non vi rinunciano.
Altro fattore da considerare, è quello dell’export: se le cose ovviamente non brillano, in generale, i numeri e le parole tanti produttori segnalano che, in alcuni mercati strategici e fondamentali, come gli Usa, per esempio, il vino italiano ha beneficiato di condizioni fiscali favorevoli rispetto a competitor come la Francia e la Spagna, soprattutto. E, a fronte del tracollo di questi due Paesi, l’Italia del vino non solo ha retto, ma ha addirittura conquistato terreno, e visto delle piccole crescite sul fronte del posizionamento di prezzo, che lasciano intuire, o fanno sperare, in una crescita dei valori nel prossimo futuro, quando torneremo alla normalità. Cosa che tutti, ovviamente, si augurano che avvenga il prima possibile.

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