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CURIOSITÀ

Da Cavour ai Savoia, da Garibaldi a Ricasoli, univano l’Italia e piantavano la vigna

Dal Piemonte alla Sicilia, passando per la Toscana, WineNews racconta i vigneti dove la produzione di vino si intreccia alla storia italiana

Da Vigna Gustava, appartenuta a Camillo Benso Conte di Cavour, primo Premier del Regno d’Italia, ai piedi del Castello di Grinzane Cavour, a Fontanafredda, la Tenuta fondata dal primo Re d’Italia Vittorio Emanuele II di Savoia, sempre nelle Langhe; dalla Vigna dell’Impero, piantata nel Valdarno dal Principe Amedeo Duca d’Aosta per festeggiare la nascita dell’Impero Coloniale Italiano, al Castello di Brolio nel Chianti Classico, dove il “Barone di Ferro” Bettino Ricasoli, secondo Presidente del Consiglio, inventò la formula del Chianti Classico, fino al Garibaldi viticoltore a Caprera, nei vigneti piantati dall’Eroe dei Due Mondi sull’isola che ne fu il “buen retiro” dopo la Spedizione dei Mille: dal Piemonte alla Sicilia, passando per la Toscana, WineNews racconta i vigneti dove la produzione di vino si intreccia alla storia italiana grazie a figure-simbolo del Risorgimento e dell’Unità d’Italia (17 marzo 1861), per le quali nella nascita del Paese l’agricoltura aveva un ruolo fondamentale.
A partire dalle Langhe, dove sono state scritte le pagine più importanti della storia d’Italia e del vino italiano, grazie a Camillo Benso Conte di Cavour, primo Presidente del Consiglio dei Ministri del neonato Regno d’Italia, proprietario all’epoca del Castello di Grinzane Cavour, e del suo fiore all’occhiello, la Vigna Gustava - oggi quattro ettari coltivati a Nebbiolo (curato dal Centro Enosis Meraviglia dell’enologo Donato Lanati, e destinato ai collezionisti di “Barolo en primeur”, la più importante asta benefica italiana di vino, promossa da Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo e da Fondazione Crc Donare con il Consorzio del Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani) - dove produceva i primi Barolo, giocando un ruolo fondamentale non solo nell’Unità del Paese, ma anche nel successo del “re” dei vini. Che era nato dall’intuizione di Giulia Colbert Falletti, ultima Marchesa di Barolo che ne inviava botti, una per ogni giorno dell’anno, al Re Carlo Alberto di Savoia, primo tra i collezionisti del Barolo, dalla cantina Marchesi di Barolo, oggi di proprietà della famiglia Abbona, che ne conserva la storia a Barolo. E come non citare, sempre in Langa, Fontanafredda, la Tenuta fondata dal primo Re d’Italia Vittorio Emanuele II di Savoia, i cui vigneti sono stati teatro dell’amore con Rosa Varcellana, “la bela Rosin”, e oggi sono di proprietà della famiglia Farinetti. Ma anche, Luigi Einaudi, Senatore del Regno nel 1919 e tra i padri della Repubblica Italiana, secondo Presidente della Repubblica nel 1948, primo ad essere eletto dal Parlamento italiano e primo presidente-viticoltore che non mancò mai alla vendemmia ai Poderi Einaudi, la sua Tenuta a Dogliani, acquistata nel 1897 a soli 23 anni, per produrre Dolcetto e Barolo, come fanno ancora oggi i suoi discendenti.
Ma le vicende legate ai Savoia portano anche in Toscana, e alla Vigna dell’Impero nel Valdarno, antico vigneto piantato nel 1935 per volontà del Principe Amedeo Duca d’Aosta e Vice Re d’Etiopia, per celebrare la conquista dell’Abissinia e la nascita dell’Impero Coloniale Italiano, dopo la vittoria della Guerra d’Africa, custodendone il clone di Sangiovese come un vero e proprio “gioiello” di Casa Savoia (oggi di proprietà della famiglia Moretti Cuseri, dopo averlo acquistato negli anni Cinquanta del Novecento direttamente dalle principesse Margherita e Maria Cristina di Savoia d’Aosta, figlie di Sua Altezza Reale, e “fiore all’occhiello” della Tenuta Sette Ponti, che prende il nome dal numero dei ponti sul fiume Arno tra Arezzo e Firenze, tra cui Ponte Buriano raffigurato da Leonardo da Vinci sullo sfondo della Gioconda, ndr), e da cui, oggi, si produce il Sangiovese in purezza Vigna dell’Impero 1935. E Toscana dove, a condividere il sogno di Cavour di un’Italia che potesse tornare ai fasti dell’antica Enotria, fu anche il suo successore come secondo Presidente del Consiglio, Bettino Ricasoli, il “Barone di Ferro”, inventore nel 1872 della formula del Chianti “sublime”, destinato a diventare il Chianti Classico, nel Castello di Brolio, ancora oggi di proprietà dei suoi discendenti. Una formula (la dose principale del profumo e del vigore dal Sangiovese, l’amabilità dal Canaiolo per temperare la durezza, e la leggerezza della Malvasia della quale fare a meno nel caso dell’invecchiamento), che, seppur modificata negli anni, non ha mai tradito il principio originario che ispirava il suo creatore: dare una spinta determinante al modo di fare e di intendere il vino, valorizzando un territorio unico come quello del Gallo Nero, attraverso un prodotto che avrebbe conquistato il mondo proprio perché capace di raccontare il suo terroir come nessun altro. Ma, in Chianti Classico, si trova anche il Castello Sonnino, antica dimora del successore di Bettino Ricasoli alla Presidenza del Consiglio d’Italia, Sidney Sonnino, appartenente alla sua famiglia, produttrice di Chianti Docg.
Non può che “risalire” tutto lo Stivale come fece l’Eroe dei Due Mondi nella Spedizione dei Mille, invece, il legame di Giuseppe Garibaldi con il vino, a partire da Marsala, dove l’11 maggio 1860 il Generale sbarcò sfruttando le navi mercantili inglesi destinate al trasporto del famosissimo vino liquoroso siciliano, la cui fortuna si deve alla figura del commerciante inglese John Woodhouse, e di cui le antiche cantine Florio, fondate da Vincenzo Florio, che fu Senatore del Regno d’Italia, innalzarono la qualità, divenendone ben presto il principale produttore ed esportatore nel mondo. Garibaldi lo assaggiò ma non ne fu un ammiratore: come le vicende politiche, la sua passione per il vino, nel 1861, nel mentre che grazie alla sua impresa nasceva l’Italia, lo porterà sulle colline di Sala Baganza, a Parma, dove, ospite della Marchesa Teresa Trecchi-Araldi - sorella di Gaspare Trecchi, Colonnello tra i Mille sbarcati con lui a Marsala - s’innamorò a tal punto della Malvasia di Maiatico, il frizzante vino locale, da portarne con sé alcuni vitigni a Caprera per piantarli e fare il viticoltore - 14.000 ceppi e un vivaio con oltre 8.000 viti secondo i testimoni dell’epoca - dopo il suo ritiro sull’isola nell’arcipelago della Maddalena. Ed i Borbone? Privati del Regno delle Due Sicilie, non rimasero certo a bocca asciutta, visto che erano grandi estimatori e consumatori di vino, a tal punto che il Re Ferdinando di Borbone, fece impiantare la Vigna del Re, per produrre il Pallagrello che, oggi, dopo oltre un secolo, rinasce grazie a Tenuta Fontana, nella Real Tenuta delle “Reali Delizie” nel Bosco di San Silvestro, sulla sommità della collina da dove scende la cascata che alimenta le fontane del Complesso Vanvitelliano della Reggia di Caserta.

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