Burocrazia, comunicazione, packaging, territori, erbicidi di sintesi, etichetta, nuove generazioni, biodiversità, sostenibilità, educazione, ricerca. Ecco le parole messe sul tavolo dalla “Slow Wine Coalition”, la rete internazionale (coordinata da Giancarlo Gariglio) che unisce i protagonisti del mondo del vino - vignaioli, wine lovers e professionisti della filiera - di 37 Paesi nel mondo, riunitisi alla “Slow Wine Fair” di scena, da ieri a domani, a BolognaFiere. Un buon modo, a tre anni dal lancio del “Manifesto” per il vino buono, pulito e giusto, per capire a che punto è arrivato il lavoro di connessione e costruzione di una comunità internazionale che si prefigge, come obiettivo, quello di cambiare il sistema agricolo, coniugando la sostenibilità ambientale, la difesa del paesaggio e la crescita culturale e sociale degli abitanti delle terre dedicate alla coltivazione della vite.
Come emerso dal workshop “Slow Wine Coalition: Attiviamoci per il vino buono, pulito e giusto”, sono tante le idee e le istanze emerse dal confronto continuo tra le diverse anime della “coalizione”, a partire dalla necessità - in effetti ampiamente condivisa da tutto il mondo del vino - di sburocratizzare i processi produttivi e commerciali, spesso e volentieri, in Italia come in tanti altri Paesi del mondo, vera e propria zavorra alla crescita dei piccoli vignaioli, sia in termini normativi che di pressione fiscale. Un altro aspetto urgente è quello di dare risposte concrete al cambiamento climatico, intervenendo innanzitutto sul packaging, e quindi scegliendo bottiglie più leggere, capaci così di abbattere la carbon footprint causata dal trasporto del vino; quindi scegliendo pratiche agronomiche in vigna che preservino le risorse idriche; infine, studiando nuovi cloni delle varietà esistenti capaci di rispondere al meglio ai mutamenti del clima.
Proprio le varietà autoctone rappresentano un altro punto cardine per i vignaioli della “Slow Wine Coalition”, perché è a loro che sono legate le identità dei territori del vino, e tutelarli dalla deriva di una globalizzazione dei vitigni internazionali in atto da decenni, studiandone la storia e il Dna, diventa un altro aspetto fondamentale. Sullo sfondo, c’è sempre e comunque la sostenibilità, che va saputa declinare non solo in vigna ed in cantina con scelte produttive coerenti, ma anche su un altro livello, che riguarda tutto il business del vino, nella direzione del fairtrade, che vuol dire innanzitutto stipendi equi per uomini e donne che lavorano nel settore e nella supply chain.
Tema di straordinaria importanza, e forse persino troppo poco dibattuto, è quello della comunicazione: il vino ha bisogno di un vocabolario comprensibile e condiviso, o rischia di non essere in grado di farsi capire dal consumatore. E poi, serve una narrazione che si liberi della retorica, e rimetta al centro, anche nelle note di degustazione, le storie delle aziende e dei vignaioli. La singolarità e l’unicità, del resto, sono un punto di forza, sta ai comunicatori coglierne le potenzialità, offrendo una prospettiva narrativa diversa, capace di colpire l’attenzione delle nuove generazioni. In questo senso, al centro della comunicazione della “Slow Wine Coalition” vanno portati i valori e la conoscenza condivisi dalla rete e dai territori, puntando forte sui social e sulla televisione, dove il vino, a differenza della gastronomia e della cucina, ha sempre fatto una certa fatica.
Anche l’etichetta è un tema sempre attuale, in quanto portatrice primaria di informazioni sul vino, dalla varietà - che dovrebbe essere sempre indicata - alle modalità di produzione, affidandosi a tecnologie come il QR Code. A tal proposito, è più che mai urgente una certificazione organica riconosciuta da tutta la filiera, sulla falsariga di quanto stanno facendo i Monopoli del vino del Nord Europa. E poi l’educazione al vino, con i giovani consumatori di nuovo al centro dell’interesse, con l’idea, certo non nuova, di introdurre negli ultimi due anni del liceo corsi e degustazioni su vino e gastronomia, per portare i giovani ad interessarsi della materia e, più in generale, del mondo dell’agricoltura. Ovviamente, è doveroso fare vini buoni, sotto ogni punto di vista, nella consapevolezza che produrre vino, comunque, consuma suolo e risorse, e allora farlo nel migliore dei modi possibili diventa una necessità intrinseca, eliminando l’uso di erbicidi di sintesi in una logica di preservazione e promozione ecologica.
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