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STORIA DELL’ALIMENTAZIONE

Dalla sostenibilità al clima, l’attualità del vino secondo uno storico: a WineNews Massimo Montanari

Trarre alla terra l’essenziale per vivere, nel suo rispetto e con intelligenza, è un’eredità del passato. “Ma spesso l’abbiamo tralasciato”
MASSIMO MONTANARI, MEDIOEVO, STORIA, VITE, VITICULTURA, Italia
Massimo Montanari, tra i massimi storici dell’alimentazione al mondo

La sostenibilità, oggi, è sulla bocca di tutti. Ma trarre alla terra l’essenziale per vivere, nel suo rispetto e con intelligenza, è un’eredità che ci arriva dal passato. “Sì, ma molto spesso l’abbiamo tralasciato. Nella cultura contemporanea, che ha imparato dall’industria ad essere consumistica, c’è sempre il rischio di trasferire questo consumismo sul piano agricolo e di volere sfruttare fino in fondo la terra, farle dare anche più di quello che vorrebbe. Questa sorta di aggressività che l’uomo ha sviluppato nei confronti della terra non è ciò che il passato avrebbe voluto trasmetterci: piuttosto, un rapporto che noi oggi chiamiamo di sostenibilità, di complicità, tra l’uomo e la terra, che significa rispettare i tempi della natura e le sue capacità produttive, aspettando il prossimo anno se questo non si produce nulla. Con sofferenza, ma anche pazienza. L’idea di forzarla si è troppo accentuata nell’età contemporanea, dove il mercato fa da padrone, tanto che dove questo è più importante, meno la sintonia tra coltivatore e la terra ha modo di svilupparsi”. A dirlo è Massimo Montanari, tra i massimi storici dell’alimentazione al mondo, professore di Storia medievale all’Università di Bologna, a tu per tu con WineNews, tra passato e presente, agricoltura contadina di una volta e mondo del vino contemporaneo, dalle radici comuni, eppure a volte tanto distanti su temi attualissimi trasmessi in modo fuorviante, come la sostenibilità, ma anche l’attenzione alle condizioni meteo, lo spingersi nel fare previsioni, le figure del produttore, dell’enologo e del consumatore, e, non ultima, l’ampia mole di informazioni che fa parlare tutti di cultura del vino o del cibo anche senza averne le basi scientifiche.
Un presente in cui il vino vive proprio il momento clou della sua produzione: la raccolta delle uve. “La vendemmia è come Natale e Pasqua - ricorda Montanari - è uno di quei momenti carichi di significato anche rituale, cui gli uomini hanno prestato da sempre grande attenzione, nei Paesi dove il vino è importante e fa parte della cultura agricola, come da noi. Nel Medioevo gli Statuti fissavano pubblicamente la data della vendemmia nel calendario agricolo, che era politicamente importante e sulla quale anche all’epoca si facevano riferimenti nelle cronache. Previsioni? Attentissime, ma non su come andava la raccolta o sarebbe stato il vino: c’era piuttosto grande attenzione nel capire quando vendemmiare, e tutti potevano cominciare, perché non erano i singoli contadini a decidere”.
Allora come oggi, la cultura del vino, sostiene lo storico italiano, rispecchia il nostro Paese in maniera totale, ma tra le sue diverse componenti, il vino veicola valori diversi. "Come medievista mi sono fatto un’idea: mentre il Medioevo privilegia il bevitore/consumatore, la cultura contemporanea l’artefice/creatore, che più che il vignaiolo è l’enologo, facendo diventare il vino un’opera d’arte sacra ed iconica di fronte alla quale il bevitore è succube, e vale il prendere o lasciare, il ti piace non ti piace, costa troppo non lo compro. Del resto, è una deriva del mercato e del marketing, come quando le opere d’arte costano troppo perché gli esperti decidono così. Il mio bevitore del Medioevo è più consapevole del proprio desiderio, e tratta il vino con più libertà e come un prodotto di consumo”.
“Cultura del Cibo”, la sua ultima fatica letteraria per Utet, è una vera e propria enciclopedia tematica: altro argomento di cui tanto si parla ma di cui si ha troppa poca conoscenza? “Cultura del cibo oggi è un’espressione sulla bocca di molti, quasi inflazionata. Che cosa voglia dire, forse, non è chiaro a tutti, a partire dal fatto che cultura e cibo non è il rapporto tra due cose che stanno bene insieme, ma che il cibo è cultura in se stesso, perché esprime saperi, tecniche e simbologie, e che questa non è altro, non è mettersi d’accordo su che cosa fare con il cibo, come la musica o il teatro”. Dall’altro lato, c’è però anche una crescente offerta di corsi universitari e master sul cibo e sul vino, merito anche di un interesse crescente tra i giovani. “La loro proliferazione è frutto di una domanda della società. Nella maggior parte dei casi purtroppo si limita agli aspetti del marketing e dell’economia, formando specialisti un po’ superficialmente indottrinati su alcuni valori, e riuscendo meno ad intercettare il desiderio di cultura che c’è dietro al cibo ed al vino. Un conto è attaccarsi la cultura del cibo come un fiore all’occhiello e poi andare a vendere, un altro è capire che se nel vendere il cibo la cultura che c’è dietro la sua produzione venisse fuori si potrebbe vendere anche ad un prezzo più alto”. Lo stesso vale per la cultura del cibo che sempre di più si fa in tv: “dipende da come si fa. Vedo che la maggior parte delle trasmissioni sono molto superficiali e soprattutto tendono a spettacolizzare la cucina, togliendole realtà. I cibi in tv si vedono preparare frettolosamente negli show cooking, ma non si mangiano”. E dunque che ci resta?
Studi come quelli di Storia agraria e sulla civiltà contadina restano fondamentali ancora oggi - il professor Montanari è, tra i suoi molti incarichi prestigiosi, alla guida del Laboratorio di Storia Agraria del Centro Studi per la Storia delle Campagne e del Lavoro Contadino fondato da 20 anni a Montalcino, oggi tra i territori del vino più blasonati, ndr - ma spesso non se ne comprende il valore. “Se venti anni fa a livello accademico l’idea era quella di riportare l’attenzione su temi negletti, anche nell’immaginario collettivo - conclude lo storico italiano - oggi questa attenzione è molto cresciuta, magari nel modo sbagliato, con fraintendimenti, mistificazioni ed equivoci, come di tutte le cose di cui abbiamo parlato. Ma allo stesso tempo questo è positivo, e dovrebbe far sì che il mondo contadino non sia più guardato solo come una cosa del passato, un’eredità di cui fare a meno e quasi vergognarsi, quanto piuttosto come qualcosa che può anche dare un senso al nostro presente ed al nostro futuro. Lo dimostrano i ragazzi che oggi tornano a dedicarsi alla campagna riportando orgoglio e prestigio al mestiere di contadino, che 20 anni fa non c’era”.

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