La data del 2 aprile è ormai prossima, ed è una data importante a cui guardano Ue, Usa e tutto il mondo, perché in un modo o nell’altro segnerà una svolta nella guerra dei dazi tra Europa e America, con gli attesi annunci del Presidente Trump su quali tariffe, a quali merci, per quanto tempo e a quali blocchi di Paesi o singoli Paesi saranno applicate. Annunci che, nel frattempo, con la minaccia di tariffe al 200% su vini e spirits europei (il 14 marzo, giorno in cui le ricerche del termine “dazi”, ovviamente popolarissimo in questo periodo, ha toccato il suo picco di ricerche su Google, secondo un’analisi WineNews), hanno già fatto male all’industria del Vecchio Continente, con ordini bloccati e merci ferme nei porti di partenza, per evitare il rischio, da parte degli importatori americani, di trovarsi a dover pagare il costo dei dazi sul vino ordinato a prezzi normali.
“Anche se i dazi del 200% sui vini dell’Ue non sono stati applicati, la chiusura del mercato vinicolo statunitense ai nostri vini è già una realtà - ha commentato, nei giorni scorsi, Ignacio Sanchez Recarte, segretario generale Ceev (il Comitato che rappresenta le imprese del vino Ue, presieduto dall’italiana Marzia Varvaglione) - poiché gli importatori hanno interrotto tutte le spedizioni per paura di potenziali dazi. Ciò costa alle aziende vinicole dell’Ue 100 milioni di euro a settimana (e 6 milioni di euro al giorno solo all’Italia, secondo Coldiretti). È necessaria una soluzione urgente: il vino non deve essere tenuto in ostaggio da controversie commerciali non correlate”.
Gli aggiornamenti sulla vicenda si susseguono di ora in ora. E dagli Usa, ora, l’ipotesi più probabile, è quella di iniziare, dal 2 aprile, con dazi non troppo differenziati tra categorie merceologiche e Paesi, ma con un dazio generale su tutte le merci (e quindi anche per vini e spirits) tra il 10% ed il 25%, secondo quanto avrebbe comunicato il Segretario al Commercio degli Stati Uniti d’America Howard Lutnick all’Ue, stando alla “U.S. Wine Trade Alliance”, che, in una lettera inviata nelle scorse ore, spiega: “abbiamo trascorso gli ultimi giorni a Washington D.C., chiedendo ai membri del Congresso e allo staff dell’Ustr e del Dipartimento del Commercio di escludere il vino dalle tariffe. Allo stesso modo, abbiamo dichiarato chiaramente quanto sarebbe catastrofico il 2 aprile per le aziende americane se si imponessero tariffe senza un periodo di preavviso o un’eccezione per le merci in transito. Sebbene non abbiamo garanzie, speriamo che eventuali tariffe imposte consentano alle aziende di ricevere le merci che erano già in transito senza una tariffa dannosa a sorpresa”.
Un dazio in una misura certamente più sopportabile, quello tra il 10 ed il 25%, rispetto a quello devastante del 200%, ma che avrebbe comunque ripercussioni fortissime, se si pensa agli effetti su un prodotto, il vino, che mediamente vede il suo prezzo di partenza dall’Italia quadruplicare prima di arrivare al consumatore Usa. L’Italia, ovviamente, è in prima fila, sia per il peso reciproco sull’asse vino tra Usa e Italia (i vini del Belpaese sono i leader in Usa tra quelli importati, per 1,9 miliardi di euro nel 2024, con gli States primo partner straniero per le cantine tricolore), sia per le buone relazioni tra il Governo italiano e quello americano, con la Premier Giorgia Meloni che, in vari interventi, e anche in una recente intervista al quotidiano britannico “Financial Times”, non ha risparmiato critiche all’Europa condividendo in parte quelle del vicepresidente Usa, Jd Vance, ma ha anche ricordato che Trump è il primo alleato dell’Italia definendo “infantile” l’idea di dover scegliere tra Trump e l’Ue. Anche se, da più parti, dal Ministro degli Affari Esteri Antonio Tajani al presidente di Agenzia Ice, Matteo Zoppas, si torna a sottolineare che la trattativa si fa a livello di Unione Europea.
E l’Europa si sta muovendo come può, come spiega in un’intervista al “Corriere della Sera” dei giorni scorsi la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen: “stiamo dialogando con gli Stati Uniti e vogliamo una soluzione negoziata. Naturalmente, difenderemo i nostri interessi: possiamo rispondere, ma il nostro interesse è avere un negoziato che porti a buoni risultati per entrambe le parti. Il segno distintivo dell’Europa è che siamo un partner prevedibile e affidabile. Per questo a livello globale c’è interesse a creare nuove partnership con l’Ue: diversificare i nostri mercati è altrettanto importante che rafforzare la nostra competitività”. E sull’Italia, la Von Der Leyen aggiunge: “l’Italia è nota come esportatore globale di beni di alta qualità. Proteggere settori chiave italiani come quello manifatturiero, farmaceutico, agroalimentare e vitivinicolo, è vitale per l’economia europea. Il nostro obiettivo è raggiungere una soluzione negoziata per risolvere questa controversia commerciale. Dobbiamo però essere pronti a utilizzare tutti gli strumenti a nostra disposizione, per garantire che i produttori italiani non siano ingiustamente svantaggiati. Inoltre, l’Ue concluderà accordi di partnenariato commerciale con altri Paesi, e in ultima analisi, un mercato unico europeo senza barriere interne è cruciale per la nostra resilienza”.
Nei giorni scorsi, diversi consorzi importanti del vino italiano, da quelli del Prosecco (Doc, Docg e Asolo) al Chianti, per citarne alcuni, e poi la filiera unita (Confagricoltura, Cia-Agricoltori Italiani, Allenza delle Cooperative Italiane, Copagri, Unione Italiana Vini, Federvini, Federdoc e Assoenologi), hanno scritto al Ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, per sollecitare il Governo a stimolare l’Ue a trovare una soluzione rapida e il più possibile indolore. Con lo stesso Lollobrigida che, in un’intervista a WineNews, nella presentazione di Vinitaly 2025, ha risposto: “mi auguro che lo scontro sui dazi sia una base di rafforzamento dei rapporti con un alleato strategico come gli Usa, mercato per noi insostituibile. Come Italia stiamo lavorando per rafforzare la capacità diplomatica dell’Ue”.
Una soluzione complicata e ad oggi improbabile, per quanto auspicabile, anche perché oltre al danno diretto al vino e al resto dell’agroalimentare made in Italy, ha ricordato il presidente Coldiretti, Ettore Prandini, c’è anche il rischio forte che cresca ancora di più l’Italian Sounding, che vale a livello globale già 120 miliardi di euro, e che in Usa, così come il made in Italy reale, ha uno dei suoi mercati principali.
Nel frattempo, come noto, l’Ue, che ha deciso di rinviare la sua risposta ai dazi Usa a metà aprile, secondo diverse fonti starebbe valutando di eliminare dalla lista dei prodotti colpiti dai dazi ritorsivi i whiskey americani, che sono stati il “casus belli” che ha portato Trump a minacciare quelli al 200% su vini e alcolici, ed il cui inserimento (di fatto copiando, da parte Ue, la lista dei prodotti colpiti nella disputa del 2017-2018 tra Airbus e Boeing, ndr) secondo molti, tra cui l’ex Ministro dell’Agricoltura e già europarlamentare in prima linea sul fronte agroalimentare, Paolo de Castro, “è stato un errore”.
Insomma, tutti sono a lavoro per evitare l’acuirsi di una escalation di sanzioni su un asse, quello tra Usa e Ue, che nel 2023 ha mosso un interscambio di 1.600 miliardi di euro in beni e servizi, pari al 30% del commercio mondiale, secondo i dati del Consiglio Europeo. Ed il vino in particolare, e l’agroalimentare in generale, stanno alla finestra, sperando di non essere tra le vittime sacrificali di una guerra commerciale nella quale nulla hanno a che fare.
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