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INCHIESTA

Dopo la perquisizione, la reazione di Cantina Terre d’Oltrepò: “caccia alle streghe”

La risposta nella nota della cooperativa del Pavese: “non usiamo prodotti vietati dalla legge nella vinificazione, ipotesi contaminazione”
CANTINA TERRE D'OLTREPO, INCHIESTA, OLTREPO', RISPOSTA, Italia
La Cantina di Broni di Terre d'Oltrepò

Il giorno dopo la notizia dell’inchiesta della Procura di Pavia per un presunto caso di “vino adulterato”, che ha coinvolto sei tra imprenditori e professionisti del settore vitivinicolo attivi nell’Oltrepò Pavese, arriva la secca risposta della Cantina Terre d’Oltrepò, che si somma alle prime dichiarazioni giunte poco dopo la perquisizione nei siti produttivi di Broni, Stradella, Santa Maria della Versa e Casteggio, con cui l’azienda aveva già sottolineato come tutto fosse legato ad un fatto “riscontrato nel 2020, non dipendente dalla cantina e dai soci e su cui la cantina stessa si era già attivata con i propri professionisti e tecnici, con l’ausilio di laboratori terzi, per garantire la necessaria trasparenza in merito”. A bocce ferme, come detto, la reazione di Cantina Terre d’Oltrepò è decisamente più articolata e piccata.
“La Cantina Terre d’Oltrepò - si legge nella nota diramata dalla cantina cooperativa - manifesta la propria sorpresa e non nasconde amarezza per quanto accaduto ieri. In palese violazione dei principi di segretezza dell’indagine e in ironica concomitanza con l’approvazione in Parlamento del recepimento della direttiva Europea sulla presunzione di innocenza leggiamo sulla stampa un processo già scritto e deciso. La Cantina non usa prodotti vietati dalla legge nella vinificazione.
La Cantina adotta protocolli estremamente rigidi ed esegue migliaia di analisi all’anno, in più laboratori. La Cantina esegue numerose lavorazioni conto terzi.
Nel giugno 2020 - ricostruisce la nota ufficiale - un soggetto della Gdo ha comunicato alla cantina che un prodotto non era conforme in quanto dalle analisi emergeva la presenza (0,14 g/l), con un valore poco superiore al limite di legge (0,1 g/l), di una sostanza vietata nella vinificazione, la diglicerina ciclica (comunque innocua per la salute). La cantina non acquista e non utilizza in alcun modo questo prodotto. L’ipotesi più probabile è quella della contaminazione di un prodotto lavorato conto terzi che potrebbe essere residuato in un macchinario e quindi in qualche bottiglia. La Cantina pigia 500.000 quintali di uva l’anno che corrispondono a 35 milioni di bottiglie. Il problema sarebbe riferito a qualche centinaio di bottiglie pari allo 0,0001% della produzione.
La cantina di fatto ha attivato la propria procedura di crisi e ha eseguito sullo stesso lotto di bottiglie di cui alla contestazione delle analisi in due laboratori indipendenti (San Michele all’Adige e Isvea) che hanno indicato valori al di sotto dei limiti di legge. La Cantina si è messa a disposizione dell’Autorità Giudiziaria per chiarire tutti gli aspetti della vicenda ma non può accettare supinamente che una sacrosanta attività investigativa si trasformi in una caccia alle streghe, causando incalcolabili danni al buon nome della Cantina, dei suoi soci e di un intero territorio”, conclude la nota della Cantina Terre d’Oltrepò.

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