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CRISI COVID

Dpcm: cosa cambia per la ristorazione, tra le diverse zone. Fipe/Confcommercio: “uno tsunami”

In zona gialla locali aperti fino alle ore 18, in zona arancione e rossa si salvano solo domicilio e asporto. Coldiretti stima perdita di 3,8 miliard
COVID, DCPM, RISTORAZIONE, vino, Non Solo Vino
Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte

In “zona gialla” non cambia nulla: tutti aperti fino alle ore 18, poi chiusura con possibilità di fare asporto e consegna a domicilio, ma solo fino alle ore 22, orario in cui scatta il “coprifuoco” a livello nazionale. In “zona arancione”, invece, restano salvi solo domicilio e asporto, così come in “zona rossa”, dove restano aperti solo i negozi di generi alimentari e di prima necessità. È, in estrema sintesi, il quadro strettamente legato a ristoranti, bar e ristorazione in generale, disegnato dall’ultimo Dpcm, quello varato ieri dal Governo, pubblicato in Gazzetta Ufficiale poche ore fa, ed in vigore dal 6 novembre al 3 dicembre, nella sintesi, a WineNews, dello Studio Giuri di Firenze, guidato dall’Avvocato Marco Giuri.
“Un collasso, nei prossimi 30 giorni è prevista la sospensione dell’attività di 90.000 pubblici esercizi, il 27% del totale, con 1,6 miliardi di euro di consumi in meno e 306.000 lavoratori costretti a casa. Tutto questo nelle cinque zone rosse, dove verranno applicati i provvedimenti maggiormente restrittivi”, sottolinea Fipe/Confcommercio.
“Quello che si sta abbattendo sulle imprese della ristorazione è un vero e proprio tsunami.
Come testimoniano i dati del Registro delle Imprese del settore camerale, infatti, la situazione dei pubblici esercizi era già drammatica prima dell’ultimo provvedimento, con 10.000 imprese in meno tra marzo e ottobre 2020, rispetto al 2019. È, dunque, quanto mai necessario ampliare la dotazione economica del Decreto Ristori e far fronte alle ulteriori criticità che si andranno a creare nelle zone rosse e arancioni. Parallelamente - prosegue Fipe/Confcommercio - è indispensabile siglare un patto con il sistema bancario. Oggi le nostre imprese vengono percepite come poco affidabili e questo rischia di compromettere anche le misure di sostegno al credito messe in campo dal governo. Ecco perché non c’è più un minuto da perdere: senza un’iniezione immediata di liquidità, l’ecatombe imprenditoriale e occupazionale rischia di diventare irreversibile”.
L’effetto del nuovo decreto, secondo stime Coldiretti, comporterebbe una perdita di fatturato di 3,8 miliardi a seguito della chiusura di 180.000 ristoranti, bar e pizzerie situati nelle aree classificate di massima o elevata gravità. Si tratta di oltre la metà delle strutture di ristorazione presenti sull’intero territorio nazionale. La più colpita dalle misure è la Lombardia, la Regione con il maggior il maggior numero di locali per la ristorazione (oltre 51.000). A preoccupare è anche lo stop all’attività degli oltre 10.000 agriturismi presenti nella “zona rossa”.

Gli effetti della chiusura delle attività di ristorazione, continua la Coldiretti, si fanno sentire a cascata sull’intera filiera agroalimentare con disdette di ordini per le forniture di molti prodotti agroalimentari, dal vino all’olio, dalla carne al pesce, dalla frutta alla verdura ma anche su salumi e formaggi di alta qualità che trovano nel consumo fuori casa un importante mercato di sbocco. In alcuni settori come quello ittico e vitivinicolo, la ristorazione rappresenta addirittura il principale canale di commercializzazione per fatturato. Le limitazioni alle attività di impresa, conclude la Coldiretti, devono dunque prevedere un adeguato e immediato sostegno economico lungo tutta la filiera per salvare l’economia e l’occupazione in un settore chiave del Made in Italy.
Tra le altre cose, resta sospesa una questione non marginale per il mondo del vino: il Dpcm, tra le altre cose, in qualsiasi scenario chiude tutti i musei e le mostre; e negli operatori sorge il dubbio se una eventuale visita in cantina debba essere considerata alla stregua di una visita museale o meno; un tema sul quale, con ogni probabilità, verranno richieste ulteriori approfondimenti. Intanto, però, insieme alla ristorazione e dei bar, è anche il mondo del vino a lanciare l’allarme, come sottolineato, ieri, dal Consorzio Vino Chianti, guidato da Giovanni Busi: con la chiusura alle ore 18, e con misure ancora più rigide in alcune Regioni, è a rischio oltre il 70% dei consumi di vino.

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