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CRISI

Effetto Ucraina, lievitano i costi per le aziende agricole: il comparto vino è quello più stabile

Lo studio del Crea sui dati di Rete d’Informazione Contabile Agricola. Per la viticoltura -6.866 euro di valore aggiunto aziendale
AGRICOLTURA, COSTI, CREA, Guerra, vino, Italia
Effetto Ucraina, gli effetti su agricoltura e viticoltura secondo il Crea

Quanto incidono gli effetti provocati dalla guerra in Ucraina sull’operatività delle aziende agricole italiane? Un tema ormai di forte attualità e su cui ha fatto chiarezza il Crea (Consiglio per la Ricerca in agricoltura e l’analisi dell’Economia Agraria) con una ricerca che si è concentrata sugli incrementi dei costi di produzione, in particolare di elementi fondamentali quali carburanti, combustibili, fertilizzanti, sementi e piantine, prodotti fitosanitari, mangimi e noleggi passivi. Tutti i comparti soffrono, ma la viticoltura accusa meno di altri.
Ha parlato di una “crisi senza precedenti”, Alessandra Pesce, direttrice Crea Politiche e Bioeconomia, spiegando la pubblicazione del report in questione dal titolo “Guerra in Ucraina: gli effetti sui costi e sui risultati economici delle aziende agricole italiane”, elaborato dai ricercatori del Centro che hanno calcolato sulla base dei dati aziendali rilevati dalla rete Rica (Rete d’Informazione Contabile Agricola, gestita dal Crea Politiche e Bioeconomia, fonte ufficiale Ue, che monitora il reddito e le attività delle imprese) l’aumento dei costi di produzione cui devono far fronte le aziende agricole a seguito dell’impennata dei prezzi degli input.
Per le sei voci di costo considerate, ovvero fertilizzanti, mangimi, gasolio, sementi/piantine, fitosanitari, noleggi passivi, l’impatto medio aziendale è di oltre 15.700 euro di aumento, ma con forti differenze, tra i settori produttivi e a seconda della localizzazione geografica. Ad essere più penalizzati, con i maggiori incrementi percentuali dei costi correnti (tra il 65 e il 70%), sono i seminativi, la cerealicoltura e l’ortofloricoltura per l’effetto congiunto dell’aumento dei costi energetici e dei fertilizzanti, seguiti dai bovini da latte (+57%). Più contenuti, invece, gli aumenti per le colture arboree agrarie e per la zootecnia estensiva con la viticultura che registra il rialzo più basso (35%), considerato anche che a livello medio nazionale l’aumento dei costi si attesterebbe al +54% con effetti molto rilevanti sulla sostenibilità economica delle aziende agricole, in modo particolare per le aziende marginali. In termini assoluti le aziende italiane potrebbero subire incrementi dei costi correnti di oltre 15.700 euro, che sfiorano i 99.000 euro nelle aziende che allevano granivori.
Il calo medio del valore aggiunto aziendale, ovvero la differenza tra i ricavi totali aziendali ed i costi correnti si attesta al -38% presentando però una forte variabilità tra le specializzazioni produttive: come si legge nel report le tipologie più “energivore” (aziende con granivori) e quelle con elevato impiego di fertilizzanti (cerealicole, ma anche seminativi, ortofloricole e specializzate in allevamenti bovini da latte) subiscono un maggiore impatto in termini di riduzione del valore aggiunto (rispettivamente con un calo di quasi l’80% nelle “energivore” e compreso tra 50% e 65% nelle aziende con elevato impiego di fertilizzanti). Cambia lo scenario nelle specializzazioni produttive caratterizzate da elevati prezzi del prodotto (frutticole, viticole e orticole) che devono affrontare in misura più contenuta la riduzione di valore aggiunto che rimane comunque significativa intorno al 20%, soglia comunque non toccata dal comparto della viticultura che registra il dato migliore in termini percentuali.
Le variazioni assolute del valore aggiunto aziendale hanno importi che variano dai -5.475 euro per le aziende olivicole (che precede la viticoltura che si attesta a -6.866 euro) ai -99.000 euro per le aziende zootecniche specializzate nell’allevamento di granivori. Perdite sostenute si stimano anche per le aziende specializzate nella produzione di latte vaccino (-47.298 euro di Valore Aggiunto). Guardando alla percentuale di aziende con valore aggiunto negativo per specializzazione produttiva, ovvero quelle situazioni in cui le imprese agricole non sono più in grado acquisire sul mercato i mezzi tecnici per la realizzazione dei propri processi produttivi e far fronte alle spese correnti esplicite con il rischio chiusura già nel breve periodo, lo scenario per le aziende di viticoltura tocca il 3%, la più bassa in assoluto.
In definitiva, l’attuale crisi internazionale congiunturale può determinare in un’azienda agricola su dieci (il valore medio nazionale è pari all’11%) l’incapacità di far fronte alle spese dirette necessarie a realizzare un processo produttivo, estromettendole di fatto dal circuito. Tale percentuale era prima della crisi del tutto irrilevante, pari all’1% delle aziende Rica.
Nello scenario ipotizzato in questo lavoro si stima che il 30% delle aziende su base nazionale possa avere reddito netto negativo, rispetto al 7% registrato prima dell’attuale crisi, sempre con una rilevante variabilità territoriale e di specializzazione produttiva. Le regioni dove le specializzazioni prevalenti sono zootecnia e seminativi (Lombardia in testa, ma anche Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia) presentano variazioni significativamente più alte della media nazionale. Quelle più vocate alla frutticoltura (olivicoltura compresa), viticoltura e zootecnia estensiva (Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta, Calabria e Puglia) hanno effetti significativamente più bassi della media nazionale.

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