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VINO E CLIMA

Emissioni giù del 75% entro il 2050, azioni in vigna e cantina: Champagne contro il climate change

Le azioni già messe in essere, e quelle future, del territorio più famoso della spumantistica mondiale, secondo il Bureau du Champagne
CHAMPAGNE, CLIMATE CHANGE, vino, Mondo
In Champagne si lavora in vigna e cantina contro il climate change

Bottiglie più leggere che limitano del 20% l’impatto delle emissioni di Co2, un programma di innovazione varietale per selezionare varietà più resistenti agli stress climatici, il 90% dei rifiuti riciclati e valorizzati: sono solo alcune delle azioni a tutela dell’ambiente messe in campo negli ultimi 15 anni dalla Champagne, la prima filiera viticola al mondo a misurare la sua impronta carbonica e ad aver dato vita a un piano per ridurre del 75% le sue emissioni entro il 2050. Se ne è parlato, oggi, a Milano, nell’Académie du Champagne, l’evento dedicato alla formazione promosso dal Bureau du Champagne in Italia.
Tutto parte il cambiamento climatico è una realtà anche in Champagne, dove la temperatura media è aumentata di +1,1°C in trent’anni. Finora questo fenomeno si è rivelato benefico per la qualità dei mosti: vendemmia più precoce di 18 giorni, acidità totale calata di 1,3 grammi per litro di acido solforico, crescita minima (+0,7%) del titolo alcolometrico volumico naturale. Questi effetti positivi dovrebbero perdurare anche nel caso in cui le temperature crescessero di 2°C. Tuttavia già oggi la Champagne esplora scenari alternativi che le consentiranno di mantenere la tipicità dei suoi vini in caso di peggioramento della deriva climatica. Ma da tempo, nel territorio più famoso della spumantistica italiana, si agisce in questo senso. La Champagne è stata la prima filiera viticola al mondo a calcolare con precisione la sua impronta carbonica. Nel 2003 la filiera si è dotata di un ambizioso piano a tutela del clima e punta a una diminuzione del 75% delle proprie emissioni entro il 2050. I primi risultati sono già arrivati: in 15 anni la Champagne ha ridotto del 20% le emissioni di CO2 per singola bottiglia. Inoltre, dopo cinque anni di sperimentazioni, nel 2010 la filiera dello Champagne ha alleggerito del 7% il peso della bottiglia (da 900 a 835 grammi). L’effetto su imballaggi e trasporti ha permesso una riduzione delle emissioni pari a 8.000 tonnellate di CO2 all’anno, equivalenti a una flotta di 4.000 veicoli. Ma non solo: nel suo processo volto alla sostenibilità ambientale, la Champagne è già oggi in grado di riciclare il 90% dei rifiuti prodotti, mentre il 100% dei sottoprodotti vinicoli viene valorizzato dall’industria, dalla cosmetica e dal settore farmaceutico e agroalimentare. Inoltre, sono 120.000 le tonnellate di legno di risulta prodotte ogni anno dalla filiera: l’80% è trinciato sul posto per arricchire il terreno di humus e agire da fertilizzante naturale, il 20% è bruciato per una valorizzazione energetica che rappresenta un potenziale di 0,5 tonnellate equivalenti petrolio per ettaro.
Ma, chiaramente, si investe anche sui vitigni del futuro. I vitigni della Champagne sono per lo più varietà antiche, a cui si è aggiunto di recente lo Chardonnay, la cui introduzione pare risalire a 150 anni fa. Dal 2010 la Champagne partecipa al programma di miglioramento varietale INRA-ResDur, studiando in situ le varietà candidate all’iscrizione al registro francese dei vitigni. In parallelo, il Comité Champagne ha intrapreso nel 2014 un programma regionale, che prevede incroci di Pinot Noir, Gouais, Chardonnay, Meunier, Arbane e Petit Meslier. Nel 2018 il programma è entrato nella fase di selezione intermedia (in campo sei anni), con la messa a dimora delle prime varietà che saranno valutate dal 2020. Altre varietà sono state piantate nel 2019, mentre i restanti impianti proseguiranno fino al 2022-2023. Ancora, la Rete di monitoraggio della maturazione delle uve, costituita nel lontano 1956 e che oggi copre circa 600 particelle, si sta rivelando quanto mai preziosa per calibrare le condizioni della vendemmia e preservare l’equilibrio dei mosti. Il contenimento della chioma e della densità del fogliame sono leve di adattamento al cambiamento climatico. Le sperimentazioni in atto puntano a determinare gli effetti dell’intensità della cimatura nelle fasi di accrescimento della vite sulla concentrazione di acido malico nelle uve. Inoltre, è stata intrapresa una sperimentazione sulla densità di impianto e, in particolare, sulla distanza tra filari. Un primo bilancio delle ricerche evidenzia che le maggiori distanze tra i ceppi rendono la vite meno sensibile al gelo primaverile, facilitano la gestione delle fasce inerbite grazie a una meccanizzazione semplificata, consentono una migliore resilienza agli stress idrici e il mantenimento dell’acidità nelle uve. Ma si pensa ad agire anche in cantina. Con il 2018, per esempio, la Champagne ha registrato la quinta vendemmia iniziata nel mese di agosto da 15 anni a questa parte. Sono state sviluppate sperimentazioni per l’eventuale protezione delle uve e dei mosti dal calore. Le prime misure vanno naturalmente adottate in vigneto: raccolta nelle ore più fresche della giornata, cassette di colore chiaro riposte all’ombra dei filari e lontane dai raggi di sole. Anche in cantina i tempi di lavorazione possono essere ridotti con diverse strategie: inoculazione in fase precoce dei lieviti per evitare ritardi nella fermentazione, rispetto rigoroso delle norme igieniche per scongiurare lo sviluppo di microrganismi indesiderati, mantenimento dei mosti a una temperatura compresa tra 18 e 20 gradi. Anche le pratiche enologiche devono adeguarsi per assicurare l’eccellenza costante dei vini di Champagne. La tendenza verso una maturità sempre più spinta comporta concentrazioni zuccherine nei mosti solo leggermente maggiori. Nulla di allarmante, quindi: sono sufficienti un minor zuccheraggio e l’imbottigliamento a pressioni inferiori per non aumentare il grado alcolico. Quanto all’acidità, malgrado la diminuzione negli ultimi 10 anni del contenuto di acido malico dovuto alla maggiore maturità l’evoluzione del pH è stata minima. In realtà, nel vigneto e alla pressatura, tutto è stato pensato per contenere i valori del potassio dei mosti: minor ricorso a fertilizzanti, inerbimento, portainnesti meno produttivi, pressatura soffice e graduale.
Tante azioni che, insieme ad altre, fanno parte di un disciplinare in 120 punti sulla “Viticoltura sostenibile in Champagne”, realizzato dal Comité, che è stato riconosciuto dal Ministero dell’Agricoltura francese ed è oggi adottato sul 15% delle superfici vitate. Globalmente, il 20% della superficie della denominazione oggi detiene una certificazione ambientale.

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