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Etichette ingannevoli, prezzi troppo bassi e l’uso del “made in Italy” anche quando un prodotto non lo è al 100%: a WineNews le riflessioni di Paola Gelato, avvocato dello Studio Legale Jacobacci & Associati. E “l’etichetta narrante” di Slow Food

Non Solo Vino
Paola Gelato, Avvocato Studio Legale Jacobacci & Associati

Prodotti made in Italy che proprio italiani al 100% non sono, perché magari lo è il know how, che è importantissimo, ma non tutta la materia prima. Prezzi bassissimi che invogliano all’acquisto ma che, in qualche caso, sono la spia che probabilmente, sotto il profilo qualitativo, ma anche sotto quello dell’etica della produzione, qualcosa non va. E poi, ovviamente, i tentativi di imitazione, se non le vere e proprie frodi. Tutto questo, chi va a fare la spesa, lo fronteggia ogni volta, al supermercato. E da questo possono nascere tanti spunti di riflessione. Per esempio, sul perché si voglia puntare sul made in Italy a tutti i costi, anche quando questo non lo è “integralmente”. “Semplice, perché si vuole sfruttare il potere di attrattiva del made in Italy, perché è sinonimo di eccellenza e qualità. E, quindi, si sfrutta il potere evocativo del marchio e del brand “made in Italy”. Che come marchio, peraltro, non è ancora riconosciuto legalmente, ma sta per esserlo”. Così, a WineNews, Paola Gelato, avvocato dello Studio Legale Jacobacci & Associati (www.jacobacci-law.com).
L’uso improprio di “made in Italy”, va detto, non è infrequente neanche in Italia, ma è diffuso soprattutto all’estero, dove c’è tanta voglia di sapori italiani, e, quindi, tante possibilità di business, che diventano golose anche per l’agro-pirateria. E per contrastarle bisogna agire su due fronti, sottolinea Paola Gelato, quello del contrasto alle azioni illegali, ma anche quello dell’educazione: “bisogna prima prevenire e poi curare; quindi, prima viene l’educazione alimentare, a partire dalle scuole elementari”. Così, è chiaro, si forma fin da piccola la consapevolezza del valore del cibo o di una produzione, e si hanno più elementi, poi, al momento dell’acquisto, per valutare l’autenticità di un prodotto.
“Ma bisogna anche migliorare sul fronte delle prorietà intellettuale per tutelare il percorso di un prodotto dall’inizio alla fine. E poi, ovviamente, azioni legali quando ci sono fenomeni di “Italian sounding” o vere e proprie truffe, che danneggiano non solo un’azienda, ma anche il consumatore”. Certo è che, spesso, la differenza in etichetta è minima. Pensiamo alle bevande, o all’olio, e alla differenza che una semplice “e” può giocare, tra “prodotto e imbottigliato in Italia” o “prodotto imbottigliato in Italia”. E allora cosa fare per evitare inganni? “Innanzitutto - dice l’avvocato - guardare se il marchio, il brand è quello giusto, quello che conosciamo, o è taroccato. Poi leggere bene gli ingredienti, capire bene quello che abbiamo davanti. La pubblicità comincia dal marchio dall’etichetta. Se vediamo che qualcosa non ci convince, se vediamo elementi grafici e simboli che ci fanno confusione, meglio lasciare il prodotto”.
Ma c’è chi, a proposito di etichetta, è andato oltre la semplice lista di ingrediente o le indicazioni su stabilimenti di produzione e così via, e ha messo a punto una vera e propria “etichetta narrante”. Come ha fatto Slow Food (www.slowfood.it) con i suoi Presìdi. Accanto alle indicazioni previste dalla legge, l’etichetta narrante (una contro-etichetta) fornisce informazioni precise sui produttori, sulle loro aziende, sulle varietà vegetali o le razze animali impiegate, sulle tecniche di coltivazione, allevamento e lavorazione, sul benessere animale, sui territori di provenienza e così via. “Occorre rinnovare un’alleanza più efficace tra produttori, consumatori e istituzioni per difendersi da contraffazioni e inganni - ha detto il presidente Slow Food Italia, Gaetano Pascale - e i consumatori, nonostante l’esigenza di risparmiare anche sugli alimenti, devono essere disposti a spendere qualcosa in più per garantire i produttori. Il rischio è che prendano scorciatoie che spesso portano al limite della legalità. La filiera deve essere sempre più trasparente e le produzioni di piccola scala possono diventare un modello di tracciabilità da imitare anche per le aziende più grandi. In questo contesto, le nostre etichette narranti raccontano le fasi della filiera di produzione, restituiscono la complessità del processo e sono facilmente comprensibili per i consumatori”.

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