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FAI: BUFERA SUL MERCATO DEL MIELE ITALIANO, NON VALE PIU’ LA PENA PRODURLO

Andando avanti di questo passo l’apicoltura italiana rischia di scomparire e saranno sempre meno gli apicoltori disposti a produrre miele e a investire nella loro difficile professione. I mercati globali stanno facendo impazzire le quotazioni e il miele italiano è venduto sottocosto per sostenere il confronto con i prezzi del miele importato. Uniche speranze la filiera corta e l’export. L’analisi è della Fai (Federazione Apicoltori Italiani) che ha rielaborato gli ultimi dati Istat: nel primo semestre 2006, l’Italia ha importato 7.593.394 kg di miele per un valore di 11.341.362 Euro. Un dato in linea con i consueti livelli di importazione che il nostro Paese, deficitario del 50%, ha registrato negli ultimi anni.
Il prezzo medio del miele estero passa da 2,4 euro/kg del 2004 a 1,5 Euro/kg di quest’anno. Un crollo verticale. Quello cinese arriva in Italia a prezzi stracciati di 1,1 Euro/kg, 1,25 Euro/kg l’argentino, 1,8 Euro/kg il prodotto dell’Est Europa o della furba Germania che, con la pratica della rinazionalizzazione, cambia la carta d’identità ai mieli stranieri e li passa all’Italia come europei, a 2,7 Euro/kg, traendone ampi margini.
Una cosa è certa: si allarga sempre di più il divario tra il costo del miele all’ingrosso - che a fatica supera i 2 Euro/kg e che si sta deprezzando costantemente (-60%) in questi ultimi 3 anni - e il prezzo al consumo, con una media, in Italia, di 6-7 Euro/kg. Gli apicoltori italiani non ci stanno: non conviene più produrre miele di qualità, se non viene riconosciuto il giusto prezzo ai produttori che si vedono costretti a svendere il loro prodotto per non chiudere gli allevamenti di api. E’ di questo che si parlerà al Convegno internazionale di Lazise sul Garda (Verona), dove la Fai ha organizzato un convegno sul tema “Miele: le piccole e grandi filiere. Nessun futuro senza tutela delle api”, cui prenderà parte anche il Presidente di Apimondia, la Federazione Internazionale degli Apicoltori.
Gli apicoltori italiani dovranno presto valutare nuove formule di commercializzazione del loro prodotto: la filiera corta, la vendita diretta, valorizzando la qualità e facendo leva sul rapporto di fiducia con i consumatori e con i mercati locali. Resta, come alternativa, l’export. Le cose infatti vanno meglio quando il miele italiano varca la soglia dei mercati internazionali: nei primi sei mesi del 2006 abbiamo esportato quasi 2 milioni di kg di miele ceduto a una media di 2,5 Euro/kg. Il nostro nettare degli dei spopola in Nord Europa, in Nord America, in Nord Africa, nei Paesi Arabi e in Giappone dove viene piazzato a quasi 5 Euro al kg!
Pare sia questa la strada per non rimanere schiacciati dalla globalizzazione: avvicinarsi di più ai consumatori italiani o proporre il miele di alta qualità ai consumatori stranieri, quelli che il miele lo consumano in grandi quantità e lo apprezzano senza badare troppo al prezzo. E’ l’ultima speranza, dunque, per riconoscere all’apicoltore il valore del suo prezioso lavoro, che è quello di produrre qualità difendendo l’ape che tiene in vita i nostri equilibri ambientali. Un appello di cui - secondo la Fai - debbono tenere debito conto anche gli operatori commerciali italiani con i quali vanno stretti accordi di filiera volti a privilegiare il miele nazionale quando questo offre garanzie di genuinità, freschezza e assortimento, che spesso manca ai più economici mieli provenienti dall’estero.

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