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First / Panorama

Vini Vidi Vici ... Dieci bottiglie che raccontano l’Italia. La superclassifica delle migliori etichette nostrane? Non proprio. Quello che First ha chiesto a un giornalista-scrittore-sommelier, è “solo” l’elenco dei vini che sarebbe bene salvare dall’Apocalisse. Gusti autentici. Unici. Ispirati. Quasi eroici...
1. Brunello di Montalcino Riserva 1999 Tenuta il Greppo - Franco Biondi Santi
Il Brunello di Montalcino è forse la Docg più in crisi d’Italia. Successo e premi hanno dato alla testa. Il “normotipo” del Brunello attuale è banale, prevedibile, per nulla economico. E non aiutano le scriteriate esaltazioni di Wine Spectator, che l’anno scorso ha eletto miglior vino del mondo un Brunello di Montalcino “Pinocchio Version”, cioè spremuta di rovere. Le eccezioni, però, esistono. La famiglia Biondi Santi ha inventato il Brunello credendo, a partire dall’Ottocento, in questo particolare biotipo di sangiovese grosso (localmente detto “Brunello”). Franco Biondi Santi lavora come i suoi avi: viti vecchie, botti grandi e antiche, pochi interventi in cantina e religioso rispetto del territorio. Il suo Brunello è un caleidoscopio di profumi, sciarada all’olfatto e nirvana al gusto. Costo: 70 euro l’Annata, 150 la Riserva. Caro, ma una volta tanto, ne vale la pena.
2. Barolo Vigna Rionda 2001 - Oddero
La chiamano “Guerra del Barolo”. Da una parte ci sono i tradizionalisti (Rinaldi, Cappellano, Bartolo Mascarello), che vinificano come una volta, botti grandi e lungo invecchiamento. Dall’altra gli innovatori, i Barolo Boys, che si affidano ai poteri taumaturgici della barrique e mascherano il nebbiolo affinché sia più colorato, meno tannico, più gentile nei profumi e “pronto subito”. Il barolo, da uve nebbiolo, nasce come vino da invecchiamento, ma il mercato e le guide del vino non aspettano. In questi casi urge ancorarsi saldamente alla tradizione (con buona pace di Robert Parker, il Gorge Bush dei giornalisti-enologi). Il Vigna Rionda, fatto a Serralunga d’Alba, è un fulgido esempio di ciò che deve essere il Barolo. Costo: 55 euro.
3. Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Villa Bucci Riserva 2004 - Bucci
Verdicchio e, inevitabilmente, provi un insopprimibile moto di fastidio perché pensi al “tremendo” bianco da ipermercato. Colpa della bottiglia ad anfora, delle cantine sociali. Agli inizi degli anni Ottanta, però, Ampelio Bucci si convince che quel vitigno ha potenzialità uniche. Lo lavora in purezza, da viti vecchie, usando botti grandi. Il risultato è sorprendente: oggi il Villa Bucci Riserva (27 euro) è uno dei più prestigiosi bianchi europei. Il modello è la Borgogna, attitudine contadina e nessuna concessione al gusto globalizzato. Dopo il successo di Bucci altri produttori lo hanno seguito a ruota, elevando il livello medio. E’ accaduto anche in Abruzzo, per Montepulciano e Trebbiano, riscoperti e nobilitati da Eduardo Valentini, oggi scomparso.
4. Alto Adige Pinot Nero 2004 - Gottardi
Nello scacchiere mondiale, il pinot nero è uno di quei vini che, se dici che ti piacciono, sei cool. Delicatissimo, cresce bene solo dove vuole lui (in Borgogna, ma anche nell’Oregon e in Nuova Zelanda). Dà vini scontrosi, profumi animali, colore scarico: per apprezzarlo devi “capire” di vino. Una piccola enclave italiana di pinot nero è nel basso atesino, a Mazzon, sopra Egna (Bolzano), dove vinifica Bruno Gottardi. E’ suo il miglior pinot nero italiano. La produzione è limitata e va subito esaurita. Costa 20 euro.
5. Dolcetto d’Alba Superiore 2004 - Flavio Roddolo
Flavio Rossolo, l’Eremita, vive e lavora a Bricco Appiani, frazione di Manforte d’Alba. Ha un’idea biologica di vinificazione. Appartenere a un gruppo lo metterebbe a disagio, quindi balla da solo. E balla bene. Le guide, pur infastidite dalla poca mondanità del personaggio, non possono non omaggiarlo. Il dolcetto è un vitigno “povero” adorabile, quello di Roddolo, versione Superiore del 2004, un gioiellino. 13 euro. Se si vuole esotismo, da provare il suo Bricco Appiani (3° euro) cabernet sauvignon in purezza, a un livello che il 90% dei Supertuscans si sogna.
6. Ribolla Anfora 2002 - Gravner
Josko Gravner, l’Eretico di Enolandia, è di Oslava (Grozia), la terra di Ribolla Gialla. Josko è uomo che va in direzione ostinata e contraria. Si è fatto costruire in Georgia (dove la vite è nata) delle grosse anfore di terracotta, dove per mesi tiene il mosto bianco a contatto con le fecce. Ne nasce un vino particolarissimo, giallo oro e un po’ torbido, profumi da vino passito, ambizioni da rosso e grande bevibilità. O lo adori o lo detesti. 50 euro. Da provare anche il Pico di Angiolino Maule, garganega “estrema” da 20 euro: uno dei preferiti di Johnathan Nossiter, il regista di Mondovino.
7. Pas Dosé Alto Adige Riserva 2001 Azienda Agricola Haderburg
L’Italia non ama gli spumanti. Da noi è inconcepibile pasteggiare a bollicine, tipologia di vino ritenuta da aperitivo o da brindisi. Esistono il Metodo Classico, con seconda rifermentazione in bottiglia (Champagne, Ferrari, Berlucchi), e il Metodo Martinetti-Charmat, con seconda rifermentazione in autoclave (Prosecco). Haderburg è un’azienda biologica altoatesina, specializzata in Metodo Classico. Il Pas Dosé MIllesimato (30 euro) è lo spumante per “uomini duri”, senza aggiunta di dosaggio (liquer d’expédition), quindi senza residuo zuccherino. Se si preferisce meno acidità e più morbidezza, meglio optare per il Brut (22 euro).
8. Colli Orientali del Friuli Picolit 2004 - Ermacora
Ah, i vini dolci. Quelli che piacciono alle donne e che nei concorsi sono detti “vini ruffiani” perché strappano qualche punto in più (lo zucchero piace a tutti!). Il picolit cresce solo in alcune zone orientali di Udine e Gorizia. Esigente, soffre di acinellatura (aborto spontaneo), produce poco, costa meno. Era il preferito dai Papi: nettare adorabile, buono per abbinamenti azzardati (formaggi erborinati, foie gras) e come vino da meditazione. Il Picolit 2004 di Dario Ermacora è tra i migliori. 33 euro (1/2 litro).
9. Aglianico del Vulture Don Anselmo 2003 - Paternoster
Vitigno dei vulcani, cresce in terreni lavici, che proteggono dalla fillossera. Alcune piante hanno cent’anni: più la vite è vecchia, più l’acino di pregio. Lo chiamano il Barolo del Sud: propensione all’invecchiamento, tannini irruenti, profumi non facili. Dà il meglio di sé in Campania (Taurasi, Taburno), Molise e Basilicata. Paternoster è un’azienda storica del Vulture. Che ha ammiccato al mercato con il Rotondo, aglianico new style, barricato e con malolattica “spinta” (meno acidità, più morbidezza). Per gustare un aglianico vero, bisogna optare per il portentoso Don Anselmo. La 2003 è stata un’annata particolare, ma sono da segnalare anche le annate più recenti (più facilmente reperibili). 28 euro.
10. Reggiano Lambrusco Rosso Campanone - Lombardini
Red Cola o Champagne rosso? Di sicuro il bistrattato Lambrusco è uno dei vini italiani che più raccontano la loro terra. Ha storia antica: i romani chiamavano Vitis Labrusca le piante che crescevano ai margini dei campi coltivati. Virgilio e Plinio il Vecchio ne cantarono le lodi. Negli ultimi anni, accanto alla produzione dozzinale, si è assistito a un rilancio qualitativo. Vino proletario, schietto, senza pretese, i purezza a Modena e blend se reggiano o mantovano, con spiccate proprietà sgrassanti (perfetto per la cucina emiliana). Particolarmente ricco di resveratrolo, l’antociano che aiuta la circolazione e previene gli infarti. Costa 5 euro: nessun vino vanta il rapporto qualità/prezzo dei migliori Lambrusco.
Andrea Scanzi (Elogio dell’invecchiamento. Viaggio alla scoperta dei 10 migliori vini italiani (e di tutti i trucchi dei veri sommelier), di Andrea Scanzi, esce l’11 settembre per Mondatori, collana Strade Blu, 260 pag., 15 euro).
Autore: Andrea Scanzi

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