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GLI ITALIANI NON HANNO ANCORA IMPARATO A FARE LA SPESA. UN ESEMPIO? IL MIELE. IL NOSTRO PAESE DETIENE IL PRIMATO PER VARIETA’ DI TIPI PRODOTTI, MA IL 68% DEI CONSUMATORI ACQUISTA VASETTI ANONIMI SENZA LEGGERE L’ETICHETTA. BOOM VENDITA NEI DISCOUNT

Gli italiani esperti di buon cibo? Macchè! Non abbiamo ancora imparato nemmeno a fare la spesa. Un esempio per tutti è il miele. Il nostro Paese detiene il primato per varietà di tipi prodotti - nelle nostre regioni se ne producono decine da specie vegetali diverse - ma il 68% dei consumatori acquista miele afferrando al volo il primo vasetto che capita, senza leggere l’etichetta e verificare il Paese di provenienza. Lo rivela una ricerca dell’Unione Nazionale Associazioni Apicoltori Italiani, che traccia il profilo dei consumatori di miele in Italia e che verrà presentata alla Settimana del Miele di Montalcino (8/10 settembre 2006), una delle più importanti rassegne del settore.
L’inchiesta dimostra che, per quanto riguarda la conoscenza del miele, uno dei tesori più preziosi del patrimonio agroalimentare nazionale, gli italiani hanno ancora molta strada da fare. E il miele purtroppo è in buona compagnia: se si eccettua il vino, la cui cultura si sta lentamente radicando - anche grazie ad un vero e proprio boom di trasmissioni televisive, corsi di degustazione, editoria specializzata - l’immensa ricchezza dei prodotti agricoli del nostro Paese, indice della sua grande biodiversità, rimane sconosciuta ai più.
“Un dato assai preoccupante - afferma Francesco Panella, presidente dell’U.N.A.API. - è che negli ultimi anni il miele è diventato uno dei 5 prodotti più venduti (in termini di quantità) nei discount, negozi in cui il consumatore privilegia essenzialmente il fattore risparmio piuttosto che il fattore qualità”.
Il miele di qualità non è dunque ancora considerato un prodotto sul quale investire. “La promozione del miele di qualità è un’operazione assai difficile - continua Panella - Le indicazioni in etichetta sono state per molto tempo poco chiare, anche se adesso è obbligatorio specificare il Paese in cui il miele viene prodotto, ma solo nel caso non sia una produzione di tipo industriale per cui si può utilizzare la equivoca definizione di “Miscela di mieli”. Ad un’immagine poetico-salutista del miele corrispondono scarsa conoscenza ed un utilizzo poco consapevole. I margini economici del settore sui quali avviare azioni continuative di comunicazione sono ridotti, se non nulli”.
Secondo la ricerca dell’Unaapi, tra i consumatore italiani di miele quelli occasionali (57%) sono sensibilmente superiori a quelli regolari (43%). L’inchiesta non considera pertanto i cosiddetti “non consumatori”. Tra chi fa uso di miele, il 41% predilige per i suoi acquisti supermercati e ipermercati, a fronte di un 29% che si rivolge direttamente all’apicoltore o al circuito breve, un 11% che si reca in un negozio di quartiere, un 7% che approfitta di mercatini o ambulanti, un 6% che si reca al discount, un 4% che compra il miele in erboristeria.
La maggioranza del campione (61%) ritiene che il miele in commercio non sia sempre del tutto naturale e che subisca, talvolta, dei processi industriali ma ignora che l’Italia importa oltre al 50% del proprio fabbisogno. Se si indaga un po’ più a fondo sui consumatori convinti che il miele possa subire processi industriali, si scopre però che solo il 20% conosce il riscaldamento fino a 80°, il principale processo industriale cui può essere sottoposto il miele (che ne causa un impoverimento dal punto di vista organolettico e nutrizionale). Solo una comunicazione molto efficace, perciò, può suscitare l’interesse per queste tematiche e portare la dovuta chiarezza.
Nota assai dolente è la lettura dell’etichetta: solo il 32% degli intervistati al momento dell’acquisto cerca di sapere il Paese di provenienza del miele. Circa il 60% di chi controlla dichiara che se ne accerta leggendo l’etichetta, il 32% lo chiede al negoziante o al venditore e l’8% dà per scontato che il miele sia italiano. Gli uomini sembrano decisamente più propensi a verificare in etichetta (73%), mentre le donne non disdegnano chiedere al negoziante (38%). Al crescere dell’età si nota una maggiore propensione a dare per scontato che il miele sia di origine italiana senza verifiche specifiche. Ben il 43% dell’intero campione non sa pronunciarsi su quale miele sia migliore, quello italiano o quello estero.
Il fattore decisivo di acquisto risulta essere, innanzi tutto, la varietà del fiore di provenienza (38% delle risposte), seguito a debita distanza dall’aspetto del miele (17%), in particolare il colore. Anche il formato della confezione, ossia il peso (11%) e la data di scadenza (10%), rivestono una certa importanza, mentre molti altri fattori quali la marca, il Paese di provenienza, il prezzo e l’origine biologica oscillano intorno al 5%. Va però evidenziato che ben il 25% del campione non ha saputo indicare alcun fattore decisivo di acquisto, facendo quindi pensare ad un acquisto superficiale o abitudinario.
L’aspetto comunque positivo è che, nonostante una situazione equiparabile a quella di trent’anni or sono rispetto alla conoscenza del miele, gli apicoltori italiani sono impegnati in molteplici iniziative per la diffusione della sua conoscenza e dei suoi possibili utilizzi ed abbinamenti gastronomici.

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