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“Gli Ocm sono una misura fondamentale nella crescita del vino italiano fuori dai confini del’Europa”. A WineNews, Alberto Mattiacci, autore dello studio “Racconti dal futuro. Dieci anni di Made in Italy nel mondo per un domani di successi”

“Gli Ocm, nonostante le critiche ed il dibattito che c’è stato in Europa, servono. È sbalorditivo che la Corte dei Conti sostenga che i fondi Ocm non abbiano avuto nessun impatto su una crescita del vino europeo fuori dai confini continentali del 64%”. Così Alberto Mattiacci, ordinario di Economia e Gestione delle Imprese alla Sapienza Università di Roma, autore dello studio “Racconti dal futuro. Dieci anni di Made in Italy nel mondo per un domani di successi” presentato oggi a Roma con l’Istituto del Vino Grandi Marchi, difende una misura che, dati alla mano, “ha permesso di raddoppiare le vendite all’estero”.

“Analizzando i dati delle aziende dell’Istituto del Vino Grandi Marchi - spiega il professor Mattiacci - abbiamo osservato e misurato una serie di performance realizzate nei 6 anni in cui sono stati utilizzati i cofinanziamenti della Ue, e possiamo dire che hanno avuto un ruolo, pur se non esclusivo, di certo molto importante. Le imprese italiane, quando vanno nel mondo a vendere il proprio vino si devono confrontare con una lunga serie di competitor, in una battaglia che, date le dimensioni medie dell’impresa italiana, ci vede di fronte a tante difficoltà. Inoltre, facciamo strutturalmente fatica a causa della mancanza di una rete di distribuzione italiana nel mondo, a cui sopperiamo grazie alla nostra ristorazione, ma non basta. Con tutte queste limitazioni - continua Mattiacci - abbiamo un export eccezionale, quindi l’Ocm sta funzionando bene, ma si può migliorare. La leva sono principale è quelle della semplificazione, in cui siamo indietro ad esempio rispetto alla Francia”.

“Per quanto riguarda l’Istituto del Vino Grandi Marchi - spiega ancora Mattiacci - parliamo di 43 milioni di euro investiti negli ultimi 5 anni, dei quali 18 finanziati e 25 investiti direttamente dalle imprese, che hanno dato luogo ad incrementi a due cifre delle vendite un po’ su tutti i mercati. Si nota poi una discriminazione dell’investimento, a seconda del livello di maturità del mercato, perché una cosa è investire in Usa, quindi in un mercato maturo e strutturato, un’altra è investire in Cina, dove il consumatore non ha una contiguità culturale con il prodotto, come succede invece in Usa. Da questo punto di vista la ripartizione dei fondi è calibrata bene”.

Ma cosa c’è dentro ai numeri aggregati dell’export enoico italiano? “I numeri aggregati - precisa Mattiacci - raccontano la realtà in maniera un po’ grossolana. Esistono diverse angolature da cui osservare l’andamento dell’export: una è quella che distingue il vino imbottigliato da quello sfuso; una seconda dicotomia è quella tra i vini delle grandi denominazioni e dei marchi più conosciuti ed i vini prodotti e commercializzati come entry level; un terzo aspetto è la differenza tra l’export frutto di una vendita attiva o di una vendita passiva”.

Migliorando questi aspetti, quindi, l’obiettivo di raddoppiare il valore dell’export enoico nel giro di cinque anni, “è un risultato assolutamente nelle corde dell’agricoltura italiana. Però bisogna capire non sono risultati che piovono dal cielo, bisogna rimboccarsi le maniche in un modo più professionale di quanto ogni tanto avviene: abbiamo un’occasione, perché fino al 2020 potremo contare sui fondi Ocm, sfruttiamoli bene”.

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