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INTERNAZIONALE

I numeri del “Land Grabbing”, che impoverisce la Terra e le comunità contadine

Report “I padroni della Terra” by Focsiv: nel 2020 acquistati 93,2 milioni di ettari, Cina primo investitore, il Perù saccheggiato
AGRICOLTURA, CONTADINI, FOCSIV, LAND GRABBING, PADRONI DELLA TERRA, SFRUTTAMENTO, TERRA, Italia
Le terre sottratte alle comunità autoctone e contadine

Se c’è un fenomeno - economico, culturale e sociale - di rilevanza enorme, che la pandemia non è riuscita minimamente a frenare, è quello del “Land Grabbing”, ossia l’acquisto o l’affitto di terre, perlopiù coltivabili, da parte di Stati e multinazionali, che ogni anno sottraggono all’agricoltura e alle comunità locali milioni di ettari di superfici, destinandole alle più disparate attività economiche, comprese le monocolture intensive che ben poco hanno a che fare con la sostenibilità. Con ripercussioni fortissime in termini di conflitti, espulsioni, migrazioni, depauperamento dell’ambiente e scomparsa delle biodiversità, e sulle lotte dei contadini e dei popoli indigeni, come sottolinea il rapporto annuale “I padroni della Terra”, firmato da Focsiv - Federazione degli Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario la più grande federazione italiana di Organismi cristiani di cooperazione e volontariato internazionale, che lavora per “promuovere lo sviluppo di tutte le persone e dell’intera persona umana“, sia nel Nord che nel Sud del mondo.
Nel 2020, raccontano i dati tratti da LandMatrix, base dati internazionale di libero accesso, e da rapporti della società civile e di ricercatori, il numero dei contratti conclusi è arrivato a 2.384 per una superficie totale di 93,2 milioni di ettari, pari a Germania e Francia messe assieme.
Di questi, 31,099 milioni di ettari sono in Sud America, 30,454 milioni di ettari in Africa, 9 milioni di ettari in Asia, 19,46 milioni di ettari in Europa Orientale e 3,424 milioni di ettari in Oceania. Terre che, per poco meno di un quarto delle superfici, saranno dedicate alle miniere (oltre 25 milioni di ettari), quindi allo sfruttamento delle foreste (18 milioni di ettari), alle piantagioni (meno di 8 milioni di ettari), alle colture alimentari (6 milioni di ettari) e ai biocarburanti (più di 3 milioni di ettari).
In cima alla graduatoria dei Paesi che hanno comprato più terre, la Cina (14 milioni di ettari), seguita da Canada (11 milioni di ettari), Stati Uniti (10 milioni di ettari)
, Gran Bretagna (9 milioni di ettari), Svizzera (8 milioni di ettari), Singapore (5 milioni di ettari), Spagna (4 milioni di ettari), Belgio (4 milioni di ettari), Giappone (4 milioni di ettari) e India (2 milioni di ettari). Il Paese più “saccheggiato” nel 2020 è stato invece il piccolo Perù, con 16 milioni di ettari di terre vendute a Paesi stranieri e multinazionali, quindi la Russia (15 milioni di ettari), Repubblica Democratica del Congo (9 milioni di ettari), Brasile (5 milioni di ettari), Indonesia (4 milioni di ettari), Ucraina (3,5 milioni di ettari), Papua Nuova Guinea (3,5 milioni di ettari), Mozambico (2 milioni di ettari), Sud Sudan (2 milioni di ettari) e Liberia (1,5 milioni di ettari).
Gli effetti, si legge nel rapporto, sono devastanti, perché i settori estrattivi portano emissioni di Co2 e quindi crisi climatica, ma anche degrado e riduzione della disponibilità di terre fertili, che genera competizione su risorse sempre più scarse, aumento delle disuguaglianze e crisi sociali, e ancora riduzione della biodiversità e crisi biologica e sanitaria, espulsione delle piccole comunità contadine e crisi alimentari.
Secondo l’International Land Coalition, il 10% più ricco della popolazione rurale in tutti i Paesi coinvolti nello studio possiede il 60% del valore dei terreni agricoli, mentre il 50% più povero della popolazione rurale, che è generalmente più dipendente dall’agricoltura, ha solo il 3% del valore della terra. Crescono quindi le disuguaglianze
, e nelle e disuguaglianze le ragazze e le donne - che costituiscono il 43% della forza lavoro agricola globale, mentre sono pari a solo il 15% dei proprietari - sono le più discriminate. Nel frattempo, si moltiplicano le esperienze di lotta in giro per il mondo, dalla resistenza dell’Amazzonia al Governo Bolsonaro e all’accordo tra Ue e Mercosur al successo delle lotte indigene in Ecuador, dal Tribunale Africano dei Popoli contro i casi di accaparramento in 10 Paesi del Continente, tra cui Liberia, Sierra Leone e Costa d’Avorio alla class action contro le multinazionali per il commercio del cobalto dal Congo.
Segnali importanti, ma quello che manca, come conclude il report “I padroni della Terra” di Focsiv, è un quadro di azioni all’interno del quale muoversi a livello globale, che debba prevedere in primis la regolamentazione delle imprese, con il vincolo della dovuta diligenza dalle leggi nazionali alla direttiva Ue; meccanismi indipendenti per accesso alla giustizia e contro ritorsioni attraverso le banche di sviluppo; orientare verso la finanza etica con più investimenti in agroecologia piuttosto che in agro-business. Ad oggi, però, solo il 2,7% dei fondi Ue che passano per le agenzie Onu prevedono un minimo di transizione verso l’agroecologia, ed in un contesto di riduzione degli aiuti allo sviluppo il contributo dell’Italia nel 2019 è sceso allo 0,22% del reddito nazionale lordo (ultimo dato Ocse), pari a 3,9 miliardi di euro.

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