Non c’è nulla di più sfidante, per le aziende del vino ti tutto il mondo, in questo momento, dei vini no alcol e a basso contenuto di alcol. Da un lato, la chiara esigenza di rispondere ai bisogni dei consumatori, e la pressione commerciale della supply chain affinché il vino investa in questa tipologia di prodotti. Dall’altro lato, la sensazione che il vino la guerra del no e low alcol l’abbia già persa, con la birra analcolica che, come ricordano i dati Iwsr, ha praticamente il monopolio della categoria. Lo stesso Iwsr, d’altro canto, prevede una crescita dei consumi di alcolici senza alcol in crescita del +8% annuo da qui al 2025, con gli spumanti che seguiranno una traiettoria del tutto simile, mentre il vino fermo low e no alcol farà ancora meglio, raddoppiando gli attuali consumi. La posta in gioco per il vino è particolarmente alta, perché questa dinamica sarà guidata dai consumatori che hanno tra i 20 e i 30 anni, ossia la generazione in cui il vino sta facendo più fatica, come ricorda Wine Intelligence, che nell’anticipazione del report “Opportunities in Lower and No-alcohol Wine 2022” ha messo in fila i 5 fattori da valutare prima di decidere di investire nella produzione di vini low e no alcol.
La prima domanda da porsi è: perché i consumatori dovrebbero scegliere il vino senza alcol e a basso contenuto di alcol? Secondo Wine Intelligence le motivazioni principali riguardano la salute e il benessere, e più in generale evitare gli effetti dell’alcol, ed è un presupposto che sta alla base di qualunque bevanda alcolica senza alcol, in ogni mercato analizzato. La qualità del prodotto, invece, è solo al terzo posto. Chi sceglie vini low e no alcol non lo fa sperando di bere il vino più buono sul mercato, consapevole che non è così, ma quello che può rispondere ad un contesto più ampio, che può riguardare la salute, la necessità di restare sobri per guidare, o la semplice volontà di dormire bene e non svegliarsi con il mal di testa .La questione chiave è in che misura queste motivazioni funzionali compensano la perdita percepita di desiderabilità e connessione emotiva, perché in effetti i consumatori accetteranno un vino un po’ meno buono, ma più salubre, solo a patto che assomigli ad un vino vero, dal packaging al bicchiere.
La seconda domanda è: in quali occasioni si consuma vino senza alcol e a basso contenuto di alcol? La risposta è in realtà più semplice di quanto si possa immaginare: nelle stesse identiche occasioni in cui si consuma qualsiasi tipo di alcolico. La situazione più comune è a casa, dopo lavoro, prima, durante o dopo cena. Seguono le occasioni sociali, con gli amici o in famiglia, a casa o fuori casa. In tutte queste situazioni, succede che i consumatori abituali di alcolici li sostituiscano, per un sera o per un periodo, con i corrispettivi no e low alcol, per i motivi più disparati: sono i cosiddetti “Substituters”, e lo fanno perché devono rimanere sobri per poter guidare un’auto o lavorare, o per motivi di stile di vita, come il controllo delle calorie o motivi di salute. Altro tipo di comportamento è quello dei “Blender”, che invece passano da una bevanda alcolica a una alcolica nella stessa occasione di consumo.
La terza domanda è più tecnica, e decisamente importante parlando di vino: come si gestiscono le aspettative rispetto alle qualità organolettiche? Quella relativa al gusto rimane la sfida più grande, quando si parla di vino low o no alcol, e infatti la scarsa qualità percepita è l’ostacolo all’acquisto più difficile da superare. C’è però da dire che la percezione dei consumatori potrebbe in effetti essere rimasta un passo indietro rispetto alla realtà: rispetto a qualche anno fa, infatti, oggi ci sono molti vini di qualità low e no alcol sul mercato, anche se le esperienze deludenti sono difficilissime da superare e, comunque, dealcolare un vino vuol dire togliergli una parte, anche gustativa, importante. Per far cambiare idea ai consumatori, ci vorrebbe una sorta di “Giudizio di Parigi” tra vini normali e vini senza alcol, che, al momento, rischierebbe di risolversi in un disastro per questi ultimi.
A quest’ultima, si lega direttamente la quarta domanda che si pone Wine Intelligence: come dimostrare che un vino low o no alcol vale il suo prezzo? Questione tutt’altro che banale, perché tra i consumatori di tutto il mondo è opinione comunque che un prodotto senza alcol debba costare la stessa cifra o meno del corrispettivo alcolico. Un percepito che, nel caso del vino, fa a cazzotti con la realtà: rimuovere l’alcol da un vino, infatti, richiede tempo e attrezzature costose, i cui costi vengono scaricati su una produzione ancora limitata. L’unico aspetto positivo arriva da quei Paesi in cui le accise sui prodotti alcolici sono proporzionate al grado alcolico. Il modo per aggirare questi ostacoli è lo stesso di qualsiasi altro prodotto: colpire positivamente il consumatore prima ancora che lo assaggi, con un bel packaging e il giusto posizionamento sullo scaffale, di modo che passi il concetto che il vino low e no alcol non ha nulla da invidiare al normale vino, senza però farlo passare per ciò che non è, un po’ come fanno i grandi brand della birra.
Infine, l’ultima domanda, che è poi la più importante: come possiamo convertire l’interesse in acquisto? È qui che arrivano le sorprese positive, perché il mercato a cui si rivolge il vino no e low alcol, quello delle “persone che cercano attivamente di ridurre il proprio consumo di alcol”, rappresenta circa la metà di tutti i consumatori abituali di vino nei 17 mercati esaminati da Wine Intelligence. Il problema qui è prima di tutto quello della conoscenza: solo 2/3 dei consumatori del Regno Unito sanno dell’esistenza dei vini low e no alcol, e appena uno su quattro in Giappone e Spagna, ed appena il 5-6% dei consumatori abituali di vino ne hanno assaggiato uno low o no alcol. E i motivi sono essenzialmente quelli elencati sin qui: percezioni di bassa qualità, difficoltà nel riconoscere il giusto valore ai vini senza alcol, disabitudine. Ma c’è anche un terzo dei consumatori che, più semplicemente, non ha mai trovato vino low o no alcol sullo scaffale. Una sfida che alcune catene della Gdo stanno affrontando, scegliendo però di proporre i vini low e no alcol nella stessa corsia dei vini normali. Una scelta intelligente e contro intuitiva: vero che il prodotto non viene messo in luce, ma il fatto che la maggior parte del consumo di vino low e no alcol avvenga in occasioni “normali”, da parte di persone che bevono anche alcolici, suggerisce che il modo migliore per spingere il consumatore all’acquisto è rendere il prodotto il più accessibile possibile all’interno delle “normali” occasioni di acquisto.
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