Visti da qui, gli Stati Uniti sono prima di tutto il mercato principale di sbocco dell’export enoico italiano. Ma non va mai dimenticato che si tratta anche di uno dei principali produttori del mondo, con una quota, mediamente, del 9% del vino mondiale, ben distante da Italia, Francia e Spagna, ma comunque rilevante. E allora, ance la filiera enoica Usa, riunita nell’associazione “WineAmerica”, fa i conti con gli effetti dell’epidemia di Covid-19. Letteralmente, perché, come emerge da un’analisi su più di 1.000 produttori di Oltreoceano, che rappresentano il 10% di tutta l’industria enoica, divisi in 49 Stati, a marzo le perdite ammontano già ad oltre 40 milioni di dollari che, se moltiplicati per dieci, vuol dire un costo complessivo che supera i 400 milioni di dollari, ossia mediamente oltre 37.376 dollari ad azienda, divisi tra calo produttivo, crollo delle vendite e dell’enoturismo, eventi cancellati e spese impreviste.
Ma la crisi sta avendo un impatto importante anche in termini di posti di lavoro, perché se in tempi normali mediamente un’azienda americana conta su 10 dipendenti, oggi in 4 restano a casa, nonostante la produzione continui nell’80% delle aziende, seppure a ritmi più lenti del solito nel 67% dei casi. A livello di turismo, se ogni anno sono 26 milioni li americani che visitano le cantine, per una media di 24.000 visitatori ad azienda, il calo a marzo è stato del 75%, con una media di 4 eventi cancellati. Ma il danno peggiore, come è facile immaginare, arriva dal crollo delle vendite: -63% a marzo, con le attese per aprile che parlano di un -75%. Aggiungendo al conto anche le spese impreviste, che ammontano in media a 776 dollari ad azienda, sin qui, come detto, il costo del Covid-19 per il solo mese di marzo è stato di 37.376 dollari a cantina. Infine, i tempi di ripresa che, se le aziende tornassero alla piena produttività entro il 30 di aprile, potrebbero essere di circa tre mesi per tornare ai normali livelli di business in termini di numero di lavoratori, visitatori e vendite.
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