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LEGGE E BRAND

Il “Gallo” (nero e non solo) è solo per il Chianti Classico. La sentenza del Tribunale Ue

Bocciato il ricorso della Berebene srl, che aveva tentato di registrare il marchio riportante un gallo (sebbene di altri colori) per un Vermentino

Il Gallo Nero è simbolo storico (e marchio collettivo) del vino del Chianti Classico, e non può essere usato da privati per nessun altro vino. E vale anche per marchi che, al di là del colore, lo possano richiamare. È, in estrema sintesi, il senso della sentenza del Tribunale Ue, pubblicata oggi, che dà ragione al Consorzio del Chianti Classico, confermando il pronunciamento dell’Euipo che aveva bloccato il tentativo di registrare il marchio Ghisu, raffigurante un gallo, da parte di Berebene srl, con sede a Roma, nel 2017, a cui il Chianti Classico si era opposto. Decisione su cui la stessa Berebene srl aveva fatto ricorso al Tribunale Ue, che, però, l’ha respinto. Secondo il Tribunale Ue, l’utilizzo del marchio in questione potrebbe creare confusione, e fornire un “un vantaggio indebito dalla notorietà, dal prestigio e dall’eccellenza proiettata” dal simbolo storicamente associato al vino toscano.
“È una sentenza che conferma la correttezza della strategia del Consorzio sulla protezione del marchio - commenta a WineNews la direttrice del Consorzio del Chianti Classico, Carlotta Gori - che è simbolo univoco della denominazione, che da anni tuteliamo anche attraverso il controllo della registrazione di marchi simili, che possono danneggiare il marchio nostro e avvantaggiare indebitamente altri. E questa strategia è premiata tanto più quando un tribunale europeo interpellato da un ricorrente, e non da noi, testimonia la bontà delle nostre ragioni. Negli ultimi 15 anni, per ben 61 volte il nostro marchio ha prevalso su tentativi di registrazione di marchi confusori. Le sentenze di Tribunale e Corte di Giustizia europei negli anni sono sempre andati in questa direzione, anzi, gli uffici marchi ormai sono “educati” e riconoscono le nostre posizioni ed il nostro valore”.
Un legame antico, quello tra il Gallo Nero ed il territorio storico del Chianti (oggi Chianti Classico, ndr): già alla fine del 1300 un gallo nero su sfondo oro fu scelto come emblema della Lega del Chianti, istituzione politico militare creata dalla repubblica di Firenze per il controllo del territorio, e riportato anche dal Vasari nell’Allegoria del Chianti, una formella del 1565 nel Salone de’ Cinquecento di Palazzo Vecchio, a Firenze. Nel 1924, poi, il Gallo Nero è il simbolo scelto dal Consorzio “per la difesa del vino tipico del Chianti ed ella sua marca di origine”, oggi diventato il Consorzio del Vino Chianti Classico. E dal 2005 campeggia su ogni bottiglia della denominazione. E, ha sancito il Tribunale Ue, è ad uso esclusivo dei produttori di Chianti Classico.
“Giù le mani dal made in Italy. La decisione di oggi riconosce e tutela le nostre eccellenze e sventa un pericoloso tentativo di appropriarsi dei nostri marchi storici”, è il commento del Sottosegretario alle Politiche Agricole, Gian Marco Centinaio. E anche se la causa è tutta interna a due soggetti italiani, è importante sottolineare che“nel respingere la richiesta di registrazione di un marchio simile - prosegue Centinaio - il Tribunale dell’Unione Europea ha giustamente evidenziato che l’immagine di eccellenza e di prestigio a esso associata avrebbe generato un indebito vantaggio a favore della società richiedente. Un precedente importante per la tutela anche futura dei nostri prodotti all’interno dei confini europei. Siamo e saremo sempre in prima linea nel contrastare fenomeni come l’italian sounding e il parassitismo commerciale, che arreca al nostro agroalimentare un danno di miliardi di euro ogni anno. Fenomeno ancora più grave adesso che anche il settore vitivinicolo è stato fortemente penalizzato dagli effetti della pandemia”, conclude Centinaio.
Si accoda ai commenti anche la Coldiretti, alzando il tiro: “lo stop al falso Chianti è importante in una situazione in cui sul mercato globale le imitazioni dei prodotti agroalimentari made in Italy hanno superato il valore di 100 miliardi nell’anno del Covid”. Sulla sentenza, aggiunge l’organizzazione, “viene così sventato l’ennesimo tentativo di appropriarsi indebitamente di marchi storici nazionali il cui prestigio è stato costruito dal lavoro di intere generazioni. La pretesa di utilizzare gli stessi simboli per prodotti profondamente diversi è inaccettabile e rappresenta un inganno per i consumatori ed una concorrenza sleale nei confronti degli imprenditori. Nel mondo si stima che più due prodotti agroalimentari made in Italy su tre siano falsi senza alcun legame produttivo ed occupazionale con il nostro Paese. A taroccare il cibo italiano - evidenzia la Coldiretti, pur commentando una querelle che, nello specifico, è tutta italiana - sono soprattutto i Paesi emergenti o i più ricchi dalla Cina all’ Australia, dal Sud America agli Stati Uniti ma esempi clamorosi si trovano i Europa dove è diffusa la vendita di wine kit con un preparato solubile in polvere che, stante a quanto dichiarato sulle confezioni, permetterebbe di riprodurre i più noti vini italiani, quali il Brunello o il Barolo. Oltre al vino tra i prodotti agroalimentari più taroccati - sostiene la Coldiretti - ci sono i formaggi, i salumi e le conserve. Dalla lotta alle imitazioni dei falso Made in Italy a tavola nel mondo si possono creare ben 300.000 posti di lavoro in Italia”.

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