Diego Planeta, presidente della Cantina Settesoli, Giacomo Rallo, patron di Donnafugata e Lucio Tasca, a capo della storica azienda Tasca d’Almerita, chiedono la Doc Sicilia. Una richiesta, evidentemente, che non risponde alle esigenze esclusive di queste tre grandi firme dell’Italia e della Sicilia enoica, che, per storia, tradizione, esperienza e capacità di muoversi sui mercati internazionali, ormai sono solidamente affermate, quanto a quella di costruire una denominazione “marchio” capace di valorizzare e regolarizzare l’intero comparto vitivinicolo siciliano.
Una questione apparentemente semplice che, invece, non sembra avere un percorso così lineare, dato che la sua discussione è giunta recentemente fino all’aula di Montecitorio. Per l’onorevole Calogero Mannino, oggi deputato Udc ed ex Ministro dell’Agricoltura e produttore di vino a Pantelleria, non c’è bisogno di una Doc Sicilia. Lo ha sottolineato, in una recente interrogazione parlamentare (11 settembre) al Ministro per le Politiche Agricole Luca Zaia, nella quale, tra le altre cose si legge: “queste considerazioni dovrebbero confermare il ministro nel proposito lodevole di non introdurre Doc regionali, che sacrificherebbero in modo disastroso le Doc territoriali, che sono state invocate e realizzate in questi anni per la migliore tutela delle produzioni nella loro tipicità”. Una presa di posizione a dir poco in controtendenza e che sembra avanzata, piuttosto, per mantenere uno status quo nell’enologia siciliana, destinato, e in questo momento di crisi economica è di particolare evidenza, a portare il comparto lungo una china decisamente pericolosa.
“Credo - spiega Diego Planeta - che la Doc Sicilia sia essenziale per almeno due motivi: il primo è che la Sicilia è una specie di semicontinente vitivinicolo, un’isola piena di diversità. E noi abbiamo l’esigenza assoluta di far emergere queste diversità, questi areali così vari e per poterli far emergere abbiamo l’assoluta necessità di mettere accanto al loro nome specifico, quello di Sicilia. Chiaramente, tutto questo non si può fare finché il nome Sicilia è preso dalla Igt. Il secondo motivo - continua Planeta - è che l’accresciuto interesse dell’Italia e del mondo verso la Sicilia, ha fatto sì che moltissimo vino siciliano sia stato comprato sfuso e imbottigliato in ogni dove come Igt Sicilia. Ora, poiché non c’è nessun controllo sui flussi di vino sfuso e pochi ad Igt, ci pare quanto meno prudente difendere questo nome Sicilia, attraverso una Doc, che consenta agli enti preposti di fare i dovuti controlli. Nessun allarmismo, certo - prosegue il presidente della Cantina Settesoli - ma, a me pare, che quando si possiede un nome che rappresenta il nostro brand, questo nome vada tutelato. E l’unico modo per tutelarlo è proprio questo. La denominazione Sicilia non si vuole istituire per gli interessi esclusivi di due o tre aziende, questa interpretazione è letteralmente una buffonata, si fa per la Sicilia e quindi per tutte le aziende siciliane. E’ un discorso che è entrato finalmente nella coscienza della stragrande maggioranza dei produttori che sono intenzionati ad procedere perché non vogliono continuare ad andare allo sbaraglio. Noi con il nostro brand aziendale - conclude Planeta - andiamo avanti tranquillamente, ma quello che conta è che una massa di aziende vada bene in modo che la Sicilia venga riconosciuta come grande isola produttrice di vino, mentre di fatto nel mondo, attualmente, non lo è”.
Anche Giacomo Rallo, patron dell’azienda Donnafugata, concorda: “in Sicilia esiste, per un verso, una produzione vitivinicola dalla qualità solida e riconosciuta, ma per un altro una produzione che non ha nessuna difesa, nel momento che diciamo che sono le Igt a rappresentare quella difesa. Intanto, perché non c’è nessun controllo, e un sistema di controllo adeguato è possibile soltanto con l’istituzione della Doc Sicilia. Una Doc che darebbe anche la possibilità di accedere alle enormi provvidenze della nuova Ocm, che metterà a disposizione per promuovere il vino comunitario e quindi italiano, oltre i confini dell’Europa. Queste sono opportunità che bisogna cogliere - afferma Rallo - se vogliamo, invece, continuare a considerare la Sicilia un po’ come una terra di conquista, senza etica commerciale, io sono contrario. Voler insistere sul discorso che la Sicilia ha una copertura di piccole Doc è una cosa che veramente ha un peso di riflessione scarso, perché queste piccole Doc hanno una rilevanza molto limitata dal punto di vista dell’appeal sul mercato. L’appeal veramente forte è quello del nome Sicilia. Lavorare tutti assieme per ottenere la denominazione Sicilia è per me un fatto decisamente pragmatico, non è un problema ideologico o culturale, non c’entra niente. Qui si tratta del problema di come affrontare il mercato globale: puntare su una Doc Sicilia - conclude Rallo - come strumento di protezione, di controllo e di promozione, è una cosa straordinaria, significa avere un approccio intelligente al mercato di oggi e di domani”.
Sulla stessa lunghezza d’onda, Lucio Tasca d’Almerita, a capo della storica griffe del vino siciliana, che afferma: “io sono assolutamente favorevole all’istituzione della Doc Sicilia. Sarebbe senza dubbio un grande recupero soprattutto a livello di sottozone, migliorando la situazione delle Doc esistenti, consentendo di scrivere in etichetta, accanto al nome della denominazione, anche il nome Sicilia, cosa che attualmente non è consentita. La Doc Sicilia potrebbe rappresentare poi anche il fulcro di aggregazione per le iniziative promozionali - conclude Tasca - con gli aiuti europei, il che significherebbe concentrare gli sforzi verso un solo nome e verso uno scopo comune”.
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