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Il Lugana Doc, una delle eccellenze bianchiste italiane, punta sull’enoturismo 

Il turismo del vino non è solo uno straordinario strumento economico a disposizione delle imprese del vino, ma anche uno dei migliori mezzi di comunicazione, senza filtri e barriere, che consente di fare conoscere un territorio e le sue aziende nella modalità più autentica: per questo il Consorzio del Lugana Doc, una delle eccellenze bianchiste del Belpaese, oltre che meta turistica tra le più vocate in Italia, con il comprensorio del Lago di Garda, ha deciso di investire nel 2023 in un importante progetto per promuovere la denominazione come wine destination d’eccellenza. L’articolato ed ambizioso programma - che coinvolgerà aziende, istituzioni e clienti finali - prevede numerose attività di promozione, formazione e valorizzazione: dai corsi per gli addetti all’accoglienza alla realizzazione di percorsi a piedi tra le vigne (battezzati “Lugana On Foot”), da azioni di incoming alla comunicazione verso i mercati esteri.  A dare il via al progetto del Lugana Doc (che nel 2022 ha prodotto 28 milioni di bottiglie) un convegno che si è tenuto nelle settimane scorse, a cui hanno partecipato rappresentanti di territori che vantano già consolidate esperienze sull’enoturismo, oltre ad esperti italiani ed internazionali.
Fabio Zenato, presidente del Consorzio del Lugana, spiega: “questo evento è nato per stimolare un’ampia riflessione sul turismo del vino, driver fondamentale per la nostra denominazione, come per molte altre Doc italiane: un dibattito su temi attuali molto importanti che rappresentano i fondamenti per il futuro del mondo del vino”. Secondo Roberta Garibaldi, fondatrice dell’Associazione Italiana Turismo Enogastronomico e docente di Tourism Management “la filiera dell’enoturismo è un mondo fatto di mille opportunità. I dati ci dicono, però, che dobbiamo cogliere l’opportunità di colmare il gap tra interesse dell’enoturista e l’effettiva fruizione. Secondo i dati della European Travel Commission la food&wine experience è centrale nelle esperienze di viaggio di tutte le fasce di età, anche tra le nuove generazioni. La grande attenzione verso le esperienze di carattere gourmet, diffusa a livello internazionale, è un’importante sfida per il nostro Paese. Il turista enogastronomico è più attento alla sostenibilità rispetto al turista generico ed in quest’ottica le aziende che vogliono aderire a questo modello devono percorrere tutte le sue strade (etica, ambientale e sociale) e saperle comunicare. Dobbiamo coglierla e sviluppare proposte strutturate ed attrattive, ma anche azioni di sistema per favorire lo sviluppo enoturistico. Digitalizzazione, azioni per gestire i flussi, promozione internazionale e attenzione alla sostenibilità sono tutti i temi da affrontare per ottimizzare il grande poker d’assi che abbiamo in mano”.
“La nostra esperienza - testimonia Elvira Bortolomiol, presidente del Consorzio Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg - ci vede coinvolti in un importante progetto che si chiama Wine Tourism Lab. Abbiamo coinvolto i player più significativi del territorio. Questo lavoro cospicuo nell’ambito dei tavoli di lavoro ha portato alla partenza del progetto, Wine Tourism Lab, che vede il Consorzio come coordinatore per arrivare ad un’unica mappatura del territorio e alla formazione verso le aziende, ma anche nel settore della ristorazione ed alberghiero con lo scopo di presentare al meglio il Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore che oggi è un simbolo di italianità e qualità”. Per Diana Isac, ceo e fondatrice Winerist, marketplace di offerta enoturistica nel mondo: “oggi abbiamo molti strumenti a disposizione per implementare l’offerta enoturistica e la tecnologia ci viene in soccorso. Il nostro marketplace è la prova che si può creare una piattaforma dove proporre esperienze enoturistiche in più di 50 regioni vitivinicole, 136 destinazioni dall’India alla Puglia e più di mille esperienze. Il Covid ha contribuito a rendere il vino più accessibile, ha aumentato la voglia di viaggiare e scoprire i territori, specialmente tra le nuove generazioni, ed ha permesso una maggiore diversificazione dell’offerta dei prodotti di viaggio. Infine, i miei consigli per le aziende: lavorate per creare sinergie con partner strategici, semplificate perché il turismo del vino è un campo minato, puntate sul turismo culturale e sostenibile mettendo il consumatore al centro dell’esperienza”.
Marta Cotarella, direttrice e cofondatrice della Scuola Intrecci Alta Formazione, spiega: “si è sempre pensato che quello dell’accoglienza non fosse un vero lavoro, ma una cosa che chiunque potesse fare; al contrario, una figura professionale che si occupa di ospitalità deve avere molte conoscenze perché chi è in sala, nel caso dei ristoranti, vende quello che viene prodotto in cucina. Per questo motivo le giovani generazioni sono un po’ timorose di intraprendere questa professione, ma noi della Scuola Intrecci Alta Formazione cerchiamo di creare l’ambiente ideale per permetter loro di formarsi ed accrescere la loro professionalità”. Fabio Piccoli (Wine Meridian) dichiara: “l’accoglienza è sempre stata considerata un’attività onerosa e dispendiosa, ma oggi è più che mai necessaria. Per questo dobbiamo ipotizzare un nuovo modello di aggregazione e network, che coinvolga le istituzioni nel supportare le aziende nel percorso di implementazione di questo ambito. Purtroppo, viviamo ancora in un’era in cui l’impresa è prodotto-centrica, ma ci dobbiamo rendere conto che il vino non è il principale driver del turismo, bensì uno dei fattori che fa muovere il consumatore per visitare i territori. Per questo le aziende sono chiamate a mettere l’ospite al centro della propria offerta ripensando a quello che il visitatore vuole e cerca”. “Per sviluppare una corretta strategia enoturistica - conclude Bruno Bertero, Ente Sviluppo Turistico Langhe e Monferrato - occorre scegliere il nostro utente medio rispondendo alle classiche domande: da dove viene? Con cosa viaggia? Cosa cerca? Questo implica costruire un prodotto avendo una strategia ben precisa e per farlo ci vogliono le strutture adatte, come le Dmo (Destination Management Organization) territoriali o i destination manager, figure che oggi sono ancora molto scarse nel nostro sistema enoturistico, ma che potrebbero avere un ruolo determinante a livello strategico in futuro”.

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