Se la Cina è lontana, l’Australia non è poi così vicina. Non tanto come mercato, visto che stiamo parlando di un Paese di appena 25 milioni di persone, grosso modo come la solo Shanghai, quanto come competitor. Fino a qualche anno fa, era uno degli astri nascenti del Nuovo Mondo enoico, incapace di impensierire la potenza e la posizione del Belpaese. I rapporti di forza restano decisamente diversi, con l’Italia che, nel 2018, si è confermata come il primo produttore al mondo, con qualcosa come 48,5 milioni di ettolitri in cantina, mentre l’Australia, settimo produttore mondiale, si è fermata a 12,5 milioni di ettolitri, ma sui mercati principali il Paese dei canguri continua a mietere successi. Non tanto in Usa, dove deve accontentarsi di un onorevole quanto solido terzo posto, con 216 milioni di dollari nei primi 9 mesi dell’anno, quanto in Cina, dove, nel 2017, l’Australia ha spedito 808 milioni di dollari di vino, il miglior risultato dietro la Francia. Per capire l’ordine di grandezza di cui stiamo parlando, è bene ricordare il dato italiano: 161 milioni di dollari, in continua crescita, ma comunque lontanissimo.
Questa la premessa, ma qual è il “segreto”, ammesso che ce ne sia uno, del successo australiano in Cina? WineNews, a Shanghai per la tappa cinese del ProWein (dal 13 al 15 novembre), l’ha chiesto ad Andreas Clark, Ceo di Wine Australia l’agenzia governativa che si occupa della promozione e della ricerca del vino australiano. “Possiamo contare su un budget quadriennale di 40 milioni di dollari - spiega Andreas Clark - che investiamo sia nella promozione del vino australiano in Cina, Usa e Gran Bretagna, che nell’enoturismo. Tutti mi fanno la stessa domanda: qual è il vostro segreto per avere tanto successo in Cina? Ma non è così semplice rispondere, non è solo questione di investimenti. Innanzitutto, l’immagine dell’Australia in Cina è particolarmente positiva: veniamo percepiti come produttori di alta qualità, non solo per quanto riguarda il vino. Ma questa è solo una parte della storia, l’altra è il legame che hanno i due Paesi: ci sono tanti cinesi, specie ragazzi, che studiano in Australia, crescono lì per 3 o 4 anni e creano per forza di cose relazioni forti con il nostro Paese - racconta il Ceo di Wine Australia - e poi c’è un forte interscambio in termini turistici. Siamo un Paese a bassa densità di popolazione rispetto alla nostra estensione, e credo che questo sia esattamente ciò che piace ai cinesi, un Paese in un certo selvaggio”.
Alla base, quindi, ci sono elementi sociali e geografici solidi ed incontrovertibili, mentre quando si focalizza l’attenzione sugli aspetti enoici ci si rende conto di quanto sia vero ciò che molti studiosi e protagonisti del vino dicono sulla Cina, un mercato in cui la complessità, almeno per ora, non è affatto di casa. “Più che di vitigni o di territori - riprende Andreas Clark - è bene parlare di brand, come Penfold’s, che hanno lavorato con grande energia su questo mercato per tanti anni. In effetti, al consumatore cinese piace ciò che i produttori più importanti mettono in bottiglia, e da lì nel bicchiere, vogliono prodotti di alta qualità, brand forti e prestigiosi, al di là delle tipologie, che rappresentano ancora una complicazione”. Linee guida che potrebbe e dovrebbe seguire anche il vino italiano, che rispetto all’Australia ha un’arma in meno: le tasse. “Il free trade agreement con la Cina - conclude il Ceo di Wine Australia - ha creato opportunità importanti per il nostro settore, ma l’aspetto più importante è la fiducia che il Governo cinese ha mostrato nei confronti dell’Australia e dei suoi prodotti, ma di certo è stato un aspetto importante in questi ultimi tre anni per continuare in quel percorso di crescita iniziato tanti anni fa”.
Copyright © 2000/2024
Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit
Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024