L’analisi dei cambiamenti climatici ed il legame tra questo fenomeno e l’assottigliamento delle popolazioni di api su scala mondiale confermano un preciso collegamento tra il riscaldamento globale e il fenomeno della moria delle api: sono queste le principali conclusioni della ricerca “Ricerca su possibili influenze dei fenomeni climatici ed ambientali quali fattori determinanti l’assottigliamento delle popolazioni apistiche mondiali”, presentata oggi a Milano, a cura del professor Umberto Solimene, direttore del Centro Ricerche in Bioclimatologia Medica, Biotecnologie e Medicine Naturali Università degli Studi di Milano, con la collaborazione del dottor Vincenzo Condemi, climatologo dell’Università degli Studi di Milano.
Il metodo di analisi
La ricerca, realizzata con il supporto di Agrofarma - Associazione nazionale imprese agrofarmaci (che fa parte di Federchimica di Confindustria), ha coinvolto un team di ricercatori dell’Università di Milano, che ha lavorato a partire dal settembre 2008 ad oggi. L’indagine è stata condotta analizzando numerosi studi eseguiti a livello internazionale sulle evidenze storiche ed attuali della moria delle api, cercando di chiarire i processi di sviluppo del fenomeno; la relazione dello stesso fenomeno con l’osservazione di precedenti episodi epidemiologici che hanno coinvolto importanti comparti geografici attraverso i decenni. L’indagine si è soffermata sulle osservazioni meteorologiche a partire dal 1880 e, nel dettaglio, sulle osservazioni satellitari a partire dal 1978, fino ai dati odierni.
I risultati
“L’attuale fase di cambiamento climatico denota - afferma il professor Solimene - un progressivo riscaldamento su scala globale, particolarmente accelerato negli ultimi 20 anni. Dall’analisi è emerso come il recente riscaldamento stia fortemente influenzando i sistemi biologici terrestri, in particolare l’anticipo degli eventi primaverili, tra i quali la fioritura, la migrazione degli uccelli e la deposizione delle uova e gli spostamenti verso il polo e verso le alte latitudini delle specie vegetali e animali. Il cambiamento climatico assume quindi un ruolo da protagonista nella genesi del fenomeno della moria delle api”.
Basandosi sulle osservazioni da satellite disponibili a partire dalla fine degli anni ’70 è possibile affermare che in molte regioni ci sia stato un trend verso un “rinverdimento” primaverile precoce della vegetazione, oltre a cambiamenti osservati nei sistemi biologici marini ed acquatici per l’aumento delle temperature dell’acqua, e una riduzione della copertura del ghiaccio, della salinità, dei livelli di ossigeno e delle correnti.
Gli ultimi 12 anni, a partire dal 1995 e fino al 2006, sono stati indicati fra gli anni mediamente più caldi mai registrati da quando si hanno misure globali sufficientemente attendibili ed estese nella osservazione della temperatura alla superficie e cioè a partire dal 1850.
Il profilo termico evidenzia una netta preponderanza di valori di temperatura più elevati rispetto alla media nei mesi di febbraio e marzo, in pratica tra la fine degli inverni e l’inizio delle primavere, con un picco relativo, ma meno importante in corrispondenza dei mesi di novembre e soprattutto dicembre, in pratica nel tratto a cavallo tra la parte finale dell’autunno e l’inverno.
“La prima importante conclusione della ricerca riguarda - spiega il professor Solimene - l’evidenza di un chiaro restringimento della stagione invernale che ha innescato, per riflesso, un probabile allungarsi della finestra di attività delle api, ipotizzabile in 20-30 giorni di lavoro in più l’anno. Ciò prefigura uno stress aggiuntivo a carico delle api che comprometterebbe la loro salute. Lo stesso sincronismo tra la fase della fioritura e la ripresa delle attività di volo delle api dopo l’inverno potrebbe aver subito importanti sfasature”. In particolare i dati suggeriscono che il global warming sta agendo sugli inverni accorciandone la durata a favore delle stagioni intermedie, principalmente la primavera e secondariamente l’autunno. Questi risultati trovano conferma nelle risposte degli apicoltori contenute nell’indagine condotta da Swg. Gli apicoltori, infatti, dichiarano che i mesi dell’anno in cui hanno registrato una mortalità delle api più accentuata sono marzo e aprile, proprio in corrispondenza con l’inizio della primavera.
Una seconda conclusione, non meno importante e strettamente collegata alla prima riguarda l’evidenza che il ciclo vitale delle api, nel periodo invernale, tende a bloccare le covate. Tuttavia, le anomalie termiche osservate negli inverni dell’ultimo decennio, possono aver causato stimolazioni e segnali che hanno facilitato covate precoci, se non covate invernali. Il ciclo biologico della varroa, acaro parassita, è intimamente legato alle covate, e potendo così sfruttare una maggiore disponibilità di covate fuori stagione riesce a compiere più cicli biologici risultando infine molto aggressiva e rendendo inefficaci le misure di profilassi adesso in uso. A conferma il 40% degli stessi apicoltori dichiara tra le cause che hanno determinato la diminuzione del numero di api che popolano i loro alveari gli attacchi di varroa e i cambiamenti climatici (dati Swg).
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