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Il Sole 24 Ore / Rapporti

L’eremita fuori dalla movida del Barolo ... “La terra non tradisce i suoi figli”... L’orgoglio di Flavio Roddolo, un viticoltore che non si piega alle mode ma rispetta i tempi della natura... Nel paese dei Conterno e dei Fantino, dei Clerico e dei Grasso, dunque di alcune tra le più celebri griffe della Langa del Barolo, c’è lassù sul bricco Appiani l’eremita del vino, Flavio Roddolo. Monforte d’Alba, 52 aziende vitivinicole su meno di duemila abitanti. Il centro più vivo e visitato degli undici cui il disciplinare concede la produzione di sua maestà il Barolo. Ristoranti, osterie, enoteche, alberghi, agriturismi. Persino il farmacista dedito all’enogastronomia: entri per un analgesico e ti assalgono profumi per sani, altro che malati. Segno che il corriere, oltre ai medicinali, ha appena consegnato salumi e formaggi per quel suo fantastico locale serale e notturno ricavato tra i sassi della millenaria rocca catara. C’è una Monforte della movida, del vino e del cibo. Un paio di colline più in là c’è quella di Roddolo, dove il tempo si è saggiamente fermato. La casa è quella dei suoi vecchi, la cantina si è adeguata ai tempi quel giusto che serviva, i vigneti pettinati con la sfumatura alta, come usavano i barbieri d’antàn. Siamo amici, per questo spero mi perdonerà la definizione di self made man. Ma come chiamare uno che le vigne le cura personalmente, dai lavori con le forbici a quelli col trattore, che non ha consulenti in cantina, che bolle e fatture le compila con la bic, e per le consegne parte con la vecchia jeep? “Il lavoro non è mai mancato. La mia prima vendemmia è del ’61, ne ho saltata una per malattia, non quella del militare grazie a un congedo anticipato. Quando mio padre si è ammalato e le Langhe erano ancora prigioniere della Malora, i miei fratelli non han creduto nella terra. Io sì”. Orgoglioso, come un eremita che si rispetti. “La soddisfazione di aver avuto ragione è impagabile”. Ed eremita, poi, alla sua maniera, perché se il premio dei 5 grappoli al suo barolo lo consegnano a Roma, lui si sfalcia la barba, prende su e si presenta all’Hilton. A ritirare una targa che va ad aggiungersi alle tante che ornano la sala degustazione. E per il vino dell’anno prima. “Una battaglia durata anni, quella sulle annate. Loro devono chiudere le guide: ma io devo far maturare i vini. E se il mio è pronto un anno dopo gli altri, cosa ci posso fare?”. Già. Parliamo di crisi, mister Roddolo? La pausa è abbastanza lunga. “Parliamone. La sintetizzerei con una battuta che ho raccolto in giro e che temo perderà qualcosa passando dal dialetto langarolo all’italiano: non comprano più vino nemmeno quelli che non l’hanno mai pagato. Io l’ho tradotta così. Se sono vecchi clienti aspetto, e in qualche raro caso, spero. Se sono nuovi, non rischio: il vino si paga alla consegna”. Adesso traduco io. È dura ma non può lamentarsi. “Difatti. Produco dalle 20 alle 25 mila bottiglie, a seconda delle annate. Quando andavano di moda i vini innovativi, ero penalizzato. Adesso che quell’epoca è passata, sono contento di come vanno le cose. Gente quassù ne arriva, un po’ in tutti i mesi dell’anno. A occhio e croce un trenta per cento della produzione se ne va in vendita diretta, più o meno in parti uguali tra italiani, svizzeri e tedeschi. Le guide aiutano, il passaparola anche di più. Il resto lo consegno in gran parte di persona, qualcosa lo spedisco: e poi aspetto”. Come si prende appuntamento con un eremita? Il sogghigno si trasforma in risata. “Ho addirittura il fax, mica solo il telefono. Su appuntamento sono aperto sempre, anche la domenica, e pazienza se devo rinunciare alla caccia, ai funghi, alla gita in val Maira. Ma senza appuntamento sono sempre chiuso. Perché sono sul trattore, o sto potando, o sono in cantina a travasare. Chi mi conosce e ha pazienza, mi aspetta. Per me la degustazione dei clienti è una gioia. Capisco che le grandi aziende le facciano anche pagare, per loro è legittima difesa. Io no. E mi piace quando arrivano magari di fretta e poi si mettono calmi e assaggiano tutto, non un vino solo”. Il percorso netto prevede dolcetto, barbera, nebbiolo, barolo fino a un rarissimo cabernet sauvignon. Mentre la conversazione sale di conseguenza, perché il cliente si scioglie bevendo e l’eremita è un diesel che parte a fatica ma poi non si spegne mai. Fino al tempo della neve, che ormai non tarderà ad arrivare sulle colline. “Quello per noi contadini è il momento della quiete. Di un letargo che prepara l’annata che verrà”. Dove si dimostra che visitare un eremita è come sfogliare un vecchio sussidiario.

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