Avere sui mercati ambasciatori che sappiano raccontare l’unicità del vino italiano, puntando, però, sempre sull’autenticità di quello che si fa, da comunicare in maniera adeguata, magari inserendo il vino in un contesto più ampio di “life style”, tenendo presente che è fondamentale differenziare l’offerta in base alla maturità dei tanti mercati asiatici, Cina in testa, ma non solo. Un “modus operandi” che, oltre ad aiutare la crescita del vino italiano in Asia, sopperirebbe, in qualche maniera, alla frammentazione dell’offerta enoica italiana. È il pensiero di Jeannie Cho Lee, una delle voci del vino più influenti in Asia, prima Master of Wine asiatica, intervistata da WineNews nella consegna del Premio Masi n. 38.
Il suo curriculum è ricco, articolato e difficilmente sintetizzabile: è stata nel 2008 la prima asiatica a conseguire l’ambito titolo di Master of Wine, è considerata da più parti tra i più influenti critici e giornalisti del vino. Per citarne solo una, la rivista “Decanter” nel 2013 la poneva al 25esimo posto tra le persone più potenti nel vino. È consulente a livello internazionale, ma anche autrice di libri pluripremiati, conduttrice televisiva, editrice e insegnante.
La sua passione per il vino viene da lontano. “Mia madre cucinava e fin da giovane ho amato il cibo che a casa mia si accompagnava con il vino - racconta Jeannie Cho Lee a WineNews - i primi viaggi in Europa mi hanno fatto capire quanto il vino sia sulla tavola un importante elemento culturale che non si smette mai di scoprire. Così ai tempi dell’Università negli Stati Uniti è diventato la mia passione e il mio hobby”.
Coreana di nascita, Jeannie ha studiato negli Usa dove si è laureata e ha conseguito un master ad Harvard e dal 1994 fa base ad Hong Kong. “Tra tutte le mie attività lavorative quella che mi piace di più è la comunicazione, che si tratti di insegnare, scrivere libri o tenere conferenze. Cerco di avvicinare quante più persone posso al mondo del vino”.
Il suo principale merito sta nell’essere riuscita ad aprire un ponte culturale tra Oriente e Occidente grazie al quale le tradizioni e il tessuto sociale dei Paesi asiatici hanno potuto incontrare il mondo del vino italiano. Fondamentali in questa azione sono stati i suoi due libri, di grande successo, Asian palate (2009), che esplora il vino e gli abbinamenti di cibi asiatici, e Mastering Wine for the Asian Palate (2011) che insegna ai “palati asiatici” a padroneggiare il vino anche introducendo descrittori adeguati.
“Mentre scrivevo il mio primo libro mi sono resa conto di quanto peso avesse nel rapporto con il vino il “palato asiatico” e di quanto fosse importante una sorta di mediazione. Essere la prima Master of wine asiatica ha comportato per me una grande responsabilità e cerco di fare del mio meglio”.
E, in questa azione, Jeannie Cho Lee è agevolata, essendo lei stessa un crocevia di culture. “C’è un aspetto dei vini italiani che mi ha da sempre colpito. Il loro essere fuori dall’ordinario, caratteristici e grandemente abbinabili con il cibo, e anche con molti piatti della cucina asiatica. Tutti i tipi di arrosti, per esempio, ben si sposerebbero con l’Amarone della Valpolicella . Il Premio Masi mi dà ancora più energia per fare di più per i vini italiani e l’Amarone: c’è ancora tanto da scoprire per chi vive in Asia”. E c’è ancora tanto da fare per posizionare i vini italiani meglio all’estero, per volumi, ma anche per prezzo, che, per esempio, negli Stati Uniti, è inferiore alla Francia, ma anche alla Nuova Zelanda.
La visione del vino italiano di Jeannie Cho Lee coincide con l’analisi che il mondo produttivo nazionale fa da tempo e questo, se da un lato, è di conforto, dall’altro, crea una certa inquietudine perché svela l’incapacità di un importante settore economico di intraprendere in modo compatto una strategia nazionale adeguata ai diversi profili aziendali, per dimensione e posizionamento di qualità e prezzo.
“I vini italiani sono molto diversi tra loro, i produttori numerosissimi e l’offerta - commenta Jeannie Cho Lee - molto frammentaria. Manca una voce consolidata sul mercato: penso che una specie di consorzio tra le regioni potrebbe essere una buona idea. Un altro modo molto importante per migliorare il posizionamento e incrementare la competitività è l’organizzazione di degustazioni di vini italiani nei vari Paesi asiatici ponendoli in un contesto, non solo enologico e gastronomico, ma anche di stile di vita, moda e arte. Penso che i vini italiani siano commercializzati ancora in modo un po’ sporadico a differenza di quelli francesi e australiani. In Asia c’è spazio per tutti i vini, quelli che giocano sul volume, quelli che puntano sulla qualità e quelli che uniscono le due cose. Il “trucco” sta nel messaggio che deve essere di autenticità. L’azienda - spiega Jeannie Cho Lee - deve raccontare perché fa quel tipo particolare di vino e non un altro, per chi lo fa e che storia ci sta dietro. Se questa “ricerca dell’anima del vino” è autentica, il mercato lo recepirà perché è molto differenziato. Il mercato cinese è fatto di 1 miliardo e trecento milioni di persone e quindi è inevitabile che alcune centinaia di milioni di persone possano diventare amanti del vino. La Cina è un mercato difficile sia per la competizione molto agguerrita, sia per la difficoltà di trovare un partner locale della giusta natura. Inoltre è necessario avere strategie diverse in base al profilo delle città. In quelle “di primo livello” in cui il consumo del vino è già affermato, vanno i vini di qualità e a prezzi superiori, diversamente da quelle di secondo livello, in cui è in atto un boom del vino con crescita a doppia cifra, dove bisogna però entrare con vini di prezzo più contenuto. Ma in Asia c’è tutta una serie di altri Paesi con potere di acquisto elevato da prendere in considerazione. Uno è sicuramente la Corea del Sud, ma anche il Vietnam e la Thailandia che stanno crescendo molto, mentre a Hong Kong e Singapore adesso la crescita è più lenta. Penso che il futuro dei vini appartenga ai vini “indigeni”, quelli da vitigni autoctoni e di espressione territoriale che sono tipici della produzione italiana. La gente vuole qualcosa di diverso rispetto ciò che beve normalmente. Negli Stati Uniti e in Giappone, per esempio - spiega la Master of Wine - il pubblico comincia a desiderare qualcosa di diverso dai soliti Cabernet il Chardonnay. Perciò è inevitabile che con il maturare del mercato si affermino vini differenti. Tuttavia, la sfida per i vini da uve autoctone è quella di trovare esperti che li sappiano presentare e introdurre sui mercati, sulla base di un rapporto di fiducia, che superi la diffidenza della gente che, non conoscendoli, li vede come rischiosi da acquistare”.
Ma se questo è il futuro, il presente, spiega ancora Jeannie Cho Lee, è rappresentato dai grandi classici del vino italiano. “Oggi in Cina e nei mercati dell’Asia che io conosco meglio, come Hong Kong, Singapore, Taipei e Corea del Sud, i vini toscani sono molto ben conosciuti grazie alla loro storia e ad un’attività di esportazione consolidata. Ma anche altre Regioni si stanno facendo strada. Si incomincia ad esplorare l’Italia settentrionale, in particolare il Piemonte il Veneto, e anche il Sud Italia, sia per i rossi sia per i bianchi, con un attenzione particolare ai vini dell’Etna e all’Aglianico. La progressione dipende dalla maturità del mercato. In Giappone, mercato maturo, dopo aver conosciuto i vini della Toscana sta incominciando l’esplorazione di Veneto e Piemonte e c’è anche una buona riuscita delle Regioni dell’Italia meridionale. In un mercato più giovane come il Vietnam, invece, sicuramente vini toscani hanno oggi più successo”.
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