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Il vino ha il suo “Testo Unico”. La filiera è soddisfatta, ma già pensa alle questioni ancora aperte. A WineNews, analisi del dg Federvini Ottavio Cagiano, del segretario Unione Italiana Vini Paolo Castelletti e del relatore del testo Massimo Fiorio

Italia
Il vino brinda al suo Testo Unico ma guarda già oltre

“Il vino, prodotto della vite, la vite e i territori viticoli, quali frutto del lavoro, dell’insieme delle competenze, delle conoscenze, delle pratiche e delle tradizioni, costituiscono un patrimonio culturale nazionale da tutelare e valorizzare negli aspetti di sostenibilità sociale, economica, produttiva, ambientale e culturale”. Così recita l’articolo uno del “Testo Unico” del vino italiano, al secolo “Disciplina organica della coltivazione della vite e della produzione e del commercio del vino”, che dal 28 novembre è definitivamente la nuova legge quadro del settore. Un corpo di 91 articoli che in parte ha raccolto la normativa che riguarda tutta la filiera, dalla produzione alla commercializzazione, dai controlli alle sanzioni, ed in parte ha cambiato qualcosa. E secondo Ottavio Cagiano, direttore generale di Federvini, ci sono diversi aspetti positivi, ma anche la consapevolezza che si poteva fare qualcosa di più, e anche in modo diverso.
“Credo che l’aspetto più importante e significativo di questo testo sia proprio l’articolo uno - spiega a WineNews.tv Cagiano (https://goo.gl/ssSAfs)
- che indica senza esitazioni, e in un bell’italiano che ci riporta anche ai grandi valori di una volta, che il vino e la vite sono parte del nostro patrimonio culturale, e per questo devono essere salvaguardati. Nei loro aspetti sociali, economici, produttivi. È qualcosa che è nel cuore di chiunque si accosti al vino italiano: il produttore di vino questi valori li porta intimamente dentro e li porta in alcuni casi di generazione in generazione, quindi li trasmette. Chi lo consuma li sente, e oggi abbiamo trovato le parole, il Parlamento ha trovato le parole per scrivere un testo di legge, e questo è un riconoscimento che rappresenta un momento, spero, di svolta per l’intero settore. Il vino, l’economia del vino, non è più un fatto campanilistico: non si discute più del mio vino o del tuvo vino, o di quello del vicino, ma finalmente si discute di un patrimonio culturale. Nazionale. Ancor più valido, ancor più forte, questo aggettivo, questo termine, questo riconoscimento. Questo è il grandissimo valore del testo unico, almeno nel sentimento che ho raccolto qui in Federvini”.
Un principio generale importante, fissato per legge, che pone le basi per una nuova rivoluzione culturale, dunque. Ma nel testo ci sono anche altri aspetti decisamente concreti.
“Come è stato giustamente sottolineato, è un testo che riassume tante leggi che oggi avevamo, e anche tanti decreti e tante circolari. Che diventano uno strumento unico di consultazione dove in teoria si troveranno tutte le risposte in materia di produzione, in tema di consumo e di presentazione al consumo, in tema di etichette. Sicuramente i parlamentari hanno raccolto le sollecitazioni della filiera sui termini geografici e sulle possibilità di come usarli, perché noi oggi abbiamo un importante corpo di denominazioni e indicazioni geografiche, e questo complicava le cose. Abbiamo avuto discussioni in passato, anche di recente, con le autorità di controllo, se fosse consentito ad un’azienda collocata in Piemonte, che è anche il nome di una Doc, o in Sicilia, che è un’altra Doc, o in Toscana o nel Lazio, che sono delle Igt, fare riferimento al fatto della loro collocazione regionale, in un ambito di informazione al consumo, quando presentavano un vino di denominazione specifica, e questo non era possibile”. Tradotto, in via di principio, una bottiglia di Barolo non si poteva trovare la parola Piemonte, o su una di Chianti Classico la parola Toscana. Ora la legge lo consente”. Al comma 6 dell’articolo 29 (Ambiti territoriali), infatti, si legge: “le Docg e le Doc possono utilizzare nell’etichettatura un nome geografico più ampio, anche di carattere storico, tradizionale o amministrativo, qualora sia espressamente previsto negli specifici disciplinari di produzione e a condizione che tale nome geografico più ampio sia separato dal nome geografico della denominazione e delle menzioni Docg e Doc”.

“È un passo in avanti - dice Cagiano, che però aggiunge - ma serviva un articolo di legge per farlo?”. Una riflessione non banale perché, di fatto, qualora questo aspetto si volesse ulteriormente modificare, essendo una legge del Parlamento e non una più semplice circolare o un decreto ministeriale, la cosa andrebbe di nuovo discussa in Aula, con tempi ovviamente più lunghi.
In ogni caso, un altro capitolo importante su cui interviene il “Testo Unico”, per Cagiano, è quello dei controlli e sanzioni. “Ora abbiamo un regime di sanzioni molto più omogeneo, dove i “peccati veniali” rimangono tali, e dove i reati più seri e le “offese” ai prodotti e ai produttori e alle denominazioni sono molto più colpiti e più duramente sanzionate. Quindi c’è un percorso molto più coerente logico, e speriamo più utile. C’è il registro unico dei controlli, molto atteso dagli operatori, che si vedevano arrivare controlli dalle più disparate autorità. Tutti giustificati, tutti necessari per difendere una produzione nella quale siamo importanti leader nel mondo, ma che era un grande stress per le aziende. Quindi il fatto di avere poter accertare la “vita dei controlli” a cui un azienda è sottoposta è importante. Insomma, strumenti interessanti ed importanti ce ne sono, sono disseminati in tutto il testo”. Un giudizio positivo, dunque, nel complesso, quello di Ottavio Cagiano, sul Testo Unico. Anche se, dice il dg Federvini, “qualche riflessione avrebbe potuto essere portata anche sullo strumento: era proprio necessario comporre un testo di 91 articoli? Oggi ce lo abbiamo, siamo arrivati a questo traguardo, ma forse alcuni di quegli articoli potevano restare negli ambiti di decreti e circolari, che sono strumenti più flessibili per accompagnare l’attività delle aziende”.
In ogni caso, è un fatto che, “anche se qualcosa in più si poteva fare, il testo taglia una parte della burocrazia, e ci sono le basi per migliorare ancora la situazione - osserva Cagiano, che aggiunge - è stato un percorso lungo, e si deve dare atto al relatore Massimo Fiorio, e alla Commissione Agricoltura delle Camera, dove il provvedimento è stato per più tempo, di avere avuto grande pazienza e attenzione per il settore. E di aver dato i giusti tempi anche per comporre la situazione, dove c’erano discussioni molto forti e vivaci. Ovviamente è un compromesso, e tutti coloro che hanno partecipato alla discussione, Federvini compresa, ne escono con alcune soddisfazioni, e con il dispiacere di non aver fatto di più perché lo spazio c’era”.
Una lettura che, in qualche modo, è condivisa da Paolo Castelletti, segretario generale di Unione Italiana Vini: “di certo è il frutto del lavoro portato avanti da tutte le organizzazioni, quindi è un compromesso, che io però continuo a definire al rialzo, soddisfacente. Sicuramente ci potevano essere aspetti migliorati, ma consideriamo che si partiva da normativa complessa, l’incrocio tra le varie fonti giuridiche nazionali è stato importante. E sottolineo che si è arrivati ad un testo che intanto non è una mera raccolta di leggi, perchè tutte le normative in antitesi e in contrasto, che erano fonte di contenziosi importanti, sono state eliminate. E poi non mancano le novità introdotte. Per esempio - spiega Castelletti - c’è tutto il capitolo relativo al sistema sanzionatorio, che andrà a migliorare la situazione delle aziende, tenendo conto che buona parte delle sanzioni nel settore sono di tipo amministrativo. Ricordiamo che è un comparto assolutamente sano, con un economia assolutamente sana, e le irregolarità, 9 volte su 10, sono di tipo amministrativo. E quindi l’introduzione di due strumenti come la diffida ed il ravvedimento operoso andranno a limitare il contenzioso con la pubblica amministrazione”.
Anche per il segretario Uiv, uno degli aspetti più importanti è proprio l’articolo 1: “la premessa del testo è bellissima, perchè quando c’è un riconoscimento del vino e dei territori vinicoli come patrimonio culturale nazionale da tutelare e valorizzar,e vuol dire che lo Stato mostra particolare cura ad un settore come questo, e riconosce ai vigneti e ai territori soggetti a rischio idrogeologico e di pregio paesaggistico, storico e ambientale uno status importante, ed è un risultato già di rilievo. Ma sono tanti gli aspetti nuovi ed impattanti. Come detto, la revisione del sistema sanzionatorio, prima distribuito su diversi testi normativi, è fondamentale. Ora dobbiamo lavorare sui decreti attuativi del piano di controlli di Denominazioni ed Indicazioni Geografiche, ma già sulle piccole denominazioni fino a 10.000 ettolitri è previsto un sistema semplificato, con una riduzione di costi e oneri per le imprese. C’è il fatto che il contrassegno di Stato ora può essere stampato da più tipografie autorizzate e quindi non c’è più un monopolio, e c’è anche un’apertura al sistema alternativo al contrassegno di Stato stesso - sottolinea Castelletti - con sistemi informatici utilizzati in altri ambiti come la moda, per esempio, che ridurranno ulteriormente i costi, con benefici importanti sul tema della contraffazione, che è un tema sensibilissimo per Do e Ig. Mi sembra, insomma, che ci siano davvero elementi di assoluto rilievo. Ovvio che ora è fondamentale che la filiera, con lo stesso spirito con cui ha lavorato fino ad ora, affronti la revisione di tutti i regolamenti attuativi. Sappiamo che il “Testo Unico” può funzionare già all’indomani della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ma molti dei decreti oggi vigenti dovranno essere rivisti, e in quella fase la filiera avrà la possibilità di migliorare l’impatto del Testo, a partire proprio dal decreto sui controlli, per rendere più snello e meno costoso il sistema, a parità di efficacia e di efficienza, perchè non dimentichiamoci che il nostro riferimento deve rimanere il consumatore che va tutelato. Perchè quello dei piani di controllo è vissuto da molte aziende come un onere ed un costo, ma deve diventare un valore aggiunto. L’azienda deve comprendere che il sistema dei controlli garantisce la denominazione. È dimostrato che le denominazioni che, senza averne obbligo, hanno aderito al contrassegno di Stato, hanno avuto una diminuzione della contraffazione importante. Io ritengo, ad esempio, che il sistema dei controlli sui vini Igp sia ancora a maglie troppo larghe, ed il fatto che in Italia sia faccia più vino Dop che Igp fa riflettere”.
Un altro approfondimento da fare, nella discussione sui decreti attutativi, sarà quello del ruolo dei Consorzi di Tutela. “È evidente che una denominazione senza un consorzio che la governi non ha futuro - dice Castelletti - ma sappiamo quanto questo strumento funzioni in maniera diversa nei vari territori, in primis a seconda della partecipazione attiva degli interlocutori. Si dovrà fare una sintesi, e fare in mondo che le categorie, intese come produttori viticoli, trasformatori ed imbottigliatori, siano equamente rappresentate. Oggi ci sono denominazioni dove la rappresentanza è schiacciata su una sola figura, ed in quel caso è difficile un coinvolgimento pieno della filiera. Quindi alcuni elementi correttivi sono fondamentali, non tanto per il consorzio come entità giuridica, quanto per il buon funzionamento della denominazione e per i suoi risultati”.

Ad essere soddisfatto del lavoro del Testo Unico è anche il relatore Massimo Fiorio, vicepresidente della Commissione Agricoltura alla Camera: “non pensavo di arrivare ad una tale condivisione tra rappresentanza della filiera e politica, quindi il sogno di un testo fortemente condiviso si è realizzato. Nel merito del testo - commenta Fiorio a WineNews - è chiaro che è il frutto di una mediazione, io ritengo a rialzo, di tutti. Il testo ha a che fare con tutta la piattaforma produttiva italiana, con le produzioni friulane e quelle siciliane, quelle piemontesi e quelle emiliane e venete, quindi è chiaro che ci sono esigenze sono diverse, ma credo che sia una buona mediazione, e il fatto che tutti lo considerino un buon testo ci conforta”.
Anche per Fiorio, il “riconoscimento del vino e dei territori vinicoli come patrimonio nazionale è un dato politico importante, ma c’è anche l’allineamento di alcune pratiche enologiche come la fermentazione nel periodo fuori vendemmia, tema importante perchè abbiamo forti quote di esportazione del vino da tavola, ci sono semplificazioni nella comunicazione, c’è l’introduzione del sistema del ravvedimento operoso, che è stato un mutuare un istituto di giurisprudenza tributaria in quella agroalimentare, che è una innovazione importante. E c’è il riconoscimento di vitigno autoctono, mai definito prima per legge”.
All’articolo 6, comma 1, infatti, si legge: “Per “vitigno autoctono italiano” o “vitigno italico” si intende il vitigno appartenente alla specie Vitis vinifera, di cui è dimostrata l’origine esclusiva in Italia e la cui presenza è rilevata in aree geografiche delimitate del territorio nazionale”.

In ogni caso, anche Fiorio concorda con chi sostiene che il Testo Unico non sia un punto di arrivo, ma di partenza: “è chiaro che sono aperte alcune questioni, e io credo che una sia il ruolo dei consorzi. Che non viene disconosciuto, anzi, è valore aggiunto importante. ma sul tema della composizione e della rappresentanza ci sono delle sofferenze in alcune zone, e credo che ripensarlo per rilanciare i consorzi stessi sia importante”.
Di certo c’è che il lavoro che ha portato alla stesura del Testo Unico, è stato un lavoro che ha visto tutta la filiera e le organizzazioni che ne rappresentano le diverse anime sedersi attorno ad un tavolo. Davvero è stato un passo che ha testimoniato che c’è voglia di fare sistema, di fare squadra, nel mondo del vino italiano?
“Direi di si - risponde Fiorio - siamo partiti da proposte differenti, sulle quali il mondo delle associazioni erano diviso, ma abbiamo lavorato ad un tavolo unico dove ho visto grande affiatamento, e rispetto, anche nella tutela dei legittimi interessi di parte. Credo che si debba mantenere questo tavolo, perchè abbiamo anche creato una metodologia di lavoro interessante, ed il confronto tra le parti poi si riflette nel lavoro delle istituzioni. È un tavolo che come “politica” vogliamo mantenere aperto, e credo che anche le associazioni lo vogliano”.

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