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Il vino italiano, negli ultimi 30 anni, ha vissuto una vera rivoluzione, che ha portato un’evoluzione del racconto giornalistico, come dice a WineNews Monica Larner, firma storica dell’Italia enoica, oggi al “The Wine Advocate” di Robert Parker

Italia
Monica Larner e Robert Parker, The Wine Advocate

Il mondo del vino italiano, negli ultimi 30 anni, ha vissuto una vera e propria rivoluzione, scoprendo i propri punti di forza e le proprie peculiarità, e adesso, dopo aver portato all’apice le due Regioni simbolo del Belpaese enoico, Toscana e Piemonte, è pronto a far conoscere al mondo la ricchezza del proprio patrimonio vitivinicolo, dalla Valle d’Aosta alla Sicilia, perché il vino è qualcosa di più dell’espressione di un vitigno, è tradizione, cultura, uomini e terra. A WineNews Monica Larner, una delle penne che il cambiamento l’ha raccontato da vicino, e che oggi, dalle pagine del “The Wine Advocate” di Robert Parker, uno dei magazine più prestigiosi del settore, continua a firmare le più belle storie di vino d’Italia, perché “la biodiversità ed il patrimonio genetico delle uve italiane non conoscono uguali. Grazie alla sua estensione, che va dal 45° al 38° parallelo, con la sua forma allungata la penisola italiana occupa una posizione privilegiata di grandi potenzialità agricole. Gli antichi - spiega Monica Larner - la consideravano un vivaio gigante strategicamente ubicato lungo le rotte commerciali del Mediterraneo, conosciuto anche con il nome di Enotria, ovvero la terra del vino. Per via della propagazione per semina, e non per talea, delle sacche isolate di territorio sono state subito popolate da nuove varietà di uve.
“Negli ultimi 30 anni l’Italia del vino è cambiata radicalmente, anzi, è proprio in questo periodo che l’Italia ha imparato ad esprimersi, in maniera molto sofisticata, attraverso il vino stesso. Oggi - racconta la corrispondente per il Belpaese del “The Wine Advocate” di Robert Parker - la produzione è particolarmente articolata, ogni micro regione ha il proprio vino, che ne rispecchia le peculiarità territoriali. Il concetto di vino italiano 30 anni fa ed oggi è radicalmente diverso, come il giorno e la notte, non sono neanche paragonabili”.
Ma per raccontarlo nel modo giusto, il termine più adatto non è quello, importato dalla Francia, di terroir. “Sono convinta che il concetto giusto per raccontare il vino italiano non sia quello di terroir quanto quello di tipicità, eccetto per il Barolo e per il Barbaresco, in Piemonte, dove c’è stato un lavoro importante sui cru ed i singoli vigneti. Nel resto d’Italia, invece, il concetto di tipicità, ossia le caratteristiche del vino che rispecchiano la varietà dell’uva, calza meglio. Per me - spiega Monica Larner - la definizione è ancora più vasta: il vino, infatti rispecchia non solo le caratteristiche del vigneto, ma anche quelle culturali del posto in cui nasce, e quindi del territorio, delle persone, della cucina, della tradizione, della metodologia usata in agricoltura”.
Del resto, se c’è un aspetto della viticoltura italiana che nessun altro può vantare, è la straordinaria ricchezza varietale.
“Per me il plus competitivo dell’Italia è il patrimonio genetico enorme che è capace di offrire. Si parla di migliaia di vitigni indigeni che esistono in Italia, e sono quasi 400 quelli usati per il vino che finisce in commercio, ma ci sono ben 3.000 vitigni autoctoni non catalogati: come scriveva lo scrittore latino Plinio il Vecchio, in Italia ci sono più uve da vino che granelli di sabbia in una spiaggia. Ogni vitigno - racconta la corrispondente del “The Wine Advocate” - è una piccola voce che parla del proprio territorio, un po’ come i dialetti, che in alcune regioni sono vere e proprie lingue. Il vino fissa certe caratteristiche, un po’ come un vocabolario su cui scrivere le parole in dialetto, diventa la prova dell’unicità di un territorio, la cui cultura rimane incastrata nella bottiglia stessa”.
Al centro del racconto, però, c’è sempre la storia, di un territorio o di un’azienda, ovunque si nasconda. “Io sono essenzialmente una giornalista, sempre alla ricerca di storie da raccontare, e se riesco ad abbinare un buon vino ad un territorio che mi racconta qualcosa di bello sono molto felice. Trovo che a questo punto, nel 2015, si sia già parlato tantissimo di Toscana e Piemonte, ci sono altre regioni d’Italia da raccontare ed io, a livello giornalistico, sono più attratta da quelle storie lì, dal Veneto, dal Friuli, dalla Valle d’Aosta, e poi c’è tutto il Sud ed il profondo Sud d’Italia, dalla Calabria alla Campania, dalla Puglia alla Basilicata. Recentemente - ricorda la Larner - sono stata sul Vulture, ed i produttori non avevano mai incontrato un giornalista americano prima, sono territori sconosciuti all’estero, su cui c’è molto lavoro da fare”.
E se affrancarsi totalmente dai punteggi non è pensabile, inserirli in un contesto diverso, fatto di cultura e narrazione, diventa fondamentale per far innamorare i wine lover. “Io rappresento il “The Wine Advocate”, ed il nostro lavoro è quello di raccontare il vino attraverso il punteggio ed il lavoro tecnico, ma allo stesso tempo, nella recensione e nell’introduzione, provo sempre a mettere il contesto culturale, quella voce varietale, appunto, di cui parlavo prima, perché è fondamentale andare oltre il punteggio, e trovare il modo di bilanciare i due aspetti di questo lavoro e di proporli entrambi, perché il consumatore davanti ad un punteggio può scegliere cosa comprare e cosa no, ma se vogliamo che si innamori di un vino - conclude Monica Larner - deve essere coinvolto dalla storia, quindi dalla cultura, dalla tradizione e dalle persone più che dai punteggi”.

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