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VERSO IL FUTURO

Il vino italiano tiene, ma tanti piccoli produttori soffrono, al di là di dati e statistiche

Il Forum di Verona ha fatto riflette il settore enoico su punti di forza e debolezze: per il “rimbalzo” serve aggregazione, nella promozione e non sol
ANALISI, CRISI, DATI, RIPARTENZA, SENTIMENT, vino, Italia
Il mondo del vino italiano alla sfida della ripartenza

Tiene, ma soffre eccome, il vino italiano, nell’anno del Covid. In maniera più diffusa dei freddi dati statistici, a sentire le imprese. Perchè se i dati complessivi parlano di un calo potenziale non drammatico all’export (-4,6% a fine anno secondo le stime dell’Osservatorio Vinitaly Nomisma Wine Monitor), e di una crescita del 6,9% delle vendite in valore nella Gdo (dati Iri), manca all’appello gran parte della ristorazione, essenziale per la gran parte delle tante buone cantine, magari più piccole e giovani, del Belpaese (con molte realtà interpellate, nei giorni scorsi, da WineNews, che, al 31 ottobre 2020, dichiaravano diminuzione di fatturati anche del -30%/-40%), a maggior ragione quelle che non possono contare su brand di primissimo piano e assai noti.
Sentiment confermato, nei giorni appena trascorsi a Wine2Wine by Veronafiere & Vinitaly da molti dei rappresentanti della filiera. Da chi rappresenta i piccoli vignaioli, come Matilde Poggi, alla guida della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti (Fivi), che ha detto chiaro e tondo come il “93% delle nostre aziende ha detto di avere avuto perdite, il 47% di loro tra il -20%/-40%”, ma anche da chi rappresenta piccoli/medi e grandi, come Ernesto Abbona, alla guida di Unione Italiana Vini (Uiv),
che ha citato la metafora dei “polli di Trilussa”, “per cui se siamo in due con due polli ci sta anche che uno li mangi entrambi ed uno nessuno”, da Sandro Boscaini, presidente Federvini, che ha definito la situazione “seria e grave, che ha fatto emergere tante criticità, come la frammentazione del sistema imprenditoriale del vino italiano”, a Luca Rigotti, voce enoica delle Cooperative, che ha parlato di “gravità commisurata anche al perdurare della pandemia, alla crisi di liquidità, alle difficoltà sui rapporti con in mercati esteri, in una situazione del tutto nuova dove l’incertezza dei mercati rende difficile programmare il futuro”. Ovviamente, al di là del mercato, molto passa anche dalla soluzione di problemi atavici non solo del vino, ma del sistema Paese, dalla burocrazia monstre al ritardo sulle infrastrutture, come ricordato dal presidente di Federdoc, Riccardo Ricci Curbastro.
Bene, dunque, evidenziare la sostanziale tenuta del comparto e lanciare messaggi rassicuranti, in un momento in cui ce ne è un gran bisogno, ma è altrettanto doveroso sottolineare che, al netto di pochi, pochissimi casi che possono cavarsela anche meglio della media, per la gran parte, soprattutto per i tanti piccoli e meno strutturati che poi sono l’humus più diffuso della produzione, della creatività e dell’economia del vino italiano, ci sono non poche difficoltà.
Chiaramente, il futuro e la ripartenza di tutto il sistema vino, passa da alcuni punti fermi. Se la diversità e, a volte, anche la dinamicità e la creatività di tanti piccoli produttori, sono punti di forza, è un dato di fatto che la enorme frammentazione è un problema reale, soprattutto quando si aggrediscono i mercati internazionali. Per questo serve incentivare non il fenomeno del merger & acquisition, che si realizza da solo sul mercato, quanto tutte quelle formule possibili che consentono alle aziende di aggregarsi per azioni sinergiche di business e promozione, dove la forza di uno moltiplica quella degli altri. E oltre a questo, la promozione del vino italiano, fatta di tante, a volte troppe specificità, deve puntare su un asset che invece è chiarissimo, compreso e ammirato in tutto il mondo, che è quello dell’“Italian Style”, che è fatto di vino, di cibo, di agricoltura, di moda, di paesaggi, di arte e cultura, di design, valori che si deve davvero e definitivamente riuscire far lavorare insieme.Un tema da portare al centro, magari, di quel “tavolo di filiera” che sarà presto convocato dal Ministero delle Politiche Agricole (così almeno ha assicurato la Ministra Bellanova, ndr), dove sarà fondamentale trovare davvero un coordinamento non solo tra diverse realtà del vino, che hanno esigenze diverse che, però, ci si deve sforzare di far convergere, ma anche tra istituzioni preposta al sostegno del settore, come lo stesso Ministero delle Politiche Agricole, passando per lo Sviluppo Economico, gli Esteri, ma anche agenzie come l’Ice, le Regioni, il sistema delle Camere di Commercio e anche quello dei Consorzi, cercando di mettere in piedi un progetto di lungo respiro che massimizzi la portata degli investimenti pubblici e privati, piuttosto che depotenziarla disperdendo energie e denari in mille rivoli.
Un desiderio di molti, ma che pare molto difficile da realizzare, perchè servirebbe una riforma al livello europeo, è poi quello sulla possibilità di utilizzare i fondi dell’Ocm Promozione non solo nei Paesi Terzi, ma anche sul mercato Ue,, un aspetto su cui l’Italia del vino dovrà lavorare come “Sistema Paese”, a partire dalle istituzioni, è la lotta ad una serpeggiante crescita di barriere doganali, talvolta dichiaratamente tariffarie, talvolta sanitarie, che rischiano di rallentare ulteriormente il sistema degli scambi mondiali del vino che, invece, ha bisogno di tornare a marciare speditamente. In questo senso, sarà anche fondamentale una flessibilità nella gestione delle risorse a fondo perduto che arriveranno, come promesso dall’Europa, nei prossimi mesi, che secondo molti non dovranno essere rigidamente vincolate, nell’utilizzo, ad investimenti in strutture di produzione e vigneti, ma che si dovrebbe poter spendere anche in progetti di comunicazione, promozione e digitalizzazione. Investendo, davvero e definitivamente, in un aspetto che riguarda non solo il vino, ma tutto il sistema agroalimentare nel suo complesso, e anche tutto quello che è legato all’enoturismo, ovvero la reale diffusione della banda larga nelle aree rurali, senza la quale la “ricchezza diffusa” generata fino ad oggi da tanti produttori in tanti piccoli borghi rurali d’Italia, invece che diventare più competitiva, rischia di disperdersi.
Ovviamente, la ripartenza del sistema vino, e di tutta l’economia italiana, passa anche da misure più generali, esterne al settore. Molti, per esempio, hanno sottolineato per l’ennesima volta la necessità di ridurre una burocrazia monstre che penalizza tutti e grava sui costi soprattutto delle piccole realtà, e alcuni hanno anche evidenziato come misure di sostegno al reddito dei consumatori ma anche delle imprese, come la riduzione del cuneo fiscale da cui si parla da tempo, siano quanto mai necessaria per rilanciare i consumi interni, che, per l’Italia del vino, vale la pena ricordarlo, valgono la metà del giro d’affari.
Un altro messaggio importante, nel Forum di Verona (diventato forzatamente tutto digitale), è la necessità di tornare, quanto prima possibile, ad una normalità fatta di eventi in presenza, di contatti umani e diretti e di condivisione, che sono aspetti fondamentali, imprescindibili del vino, sia inteso come prodotto di consumo e di piacere da vivere insieme, che come momento di business. Come ha detto a chiare lettere, per esempio, il presidente Veronafiere Maurizio Danese, ribadendo come il digitale sia stato senza dubbio utile, e di come continuerà ad esserlo, ma anche di quanto, per gli affari e non solo, ci sia bisogno di tornare ad eventi “in presenza”, come si usa dire. Come testimoniato, per altro, dal successo per Veronafiere, di Wine2Asia a Shenzen, in una Cina che è ripartita, hanno ricordato anche il dg Veronafiere Giovanni Mantovani e il dg Agenzia-Ice, Roberto Luongo.
Anche perchè, pur comprensibilmente, causa Covid, in questi lunghi mesi abbiamo assistito a decine e decine di eventi, convegni, congressi e degustazioni “via web”, che, per arginare una fase di reale emergenza, hanno cercato di traslare su web e social, quello che fino ad oggi abbiamo vissuto di persona. A volte, con successo, ma a volte, va detto chiaramente, con risultati miseri, dal punto di vista sia tecnico che di contenuto.
Constatazione che spinge a due ulteriori riflessioni. La prima è che se il mondo del vino viveva una sorta di “bulimia da evento” già prima del Covid, spostarla sul digitale, rischiando addirittura di intensificarla, sarebbe un errore sotto ogni punto di vista: strategico, economico, di immagine, perchè nella enorme confusione di messaggi ed eventi che arrivano ogni giorno, sembra più saggio ed efficace cercare di fare meno iniziative, ma al meglio delle possibilità e della qualità. L’altra, ovvia, ma non banale, è che il mondo del vino, per essere raccontato seriamente, nella sua meravigliosa complessità di territori, di persone, di idee, di notizie e di emozioni, ha davvero bisogno, come del resto quello della ristorazione e dell’agricoltura, a cui è intimamente legato, forse più di altri, di essere vissuto veramente dal vivo. O, parafrasando Gabriel García Márquez, di “vivere per raccontarla”.

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