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FUTURO IN VIGNA

In Franciacorta l’innovazione passa per biodiversità funzionale e riscoperta dell’antico Erbamat

Dal Festival Franciacorta l’importanza delle piante spontanee tra i filari ed il ruolo del vitigno autoctono nelle bollicine di domani

La Franciacorta continua a lavorare sull’innovazione, e lo fa con due esperienze pilota, una prova di “biodiversità funzionale” per accrescere la sostenibilità in vigneto e l’inserimento del vitigno di antica coltivazione Erbamat nella cuvée, accanto a Chardonnay e Pinot Nero e Bianco (in percentuali diverse e superiori al 10% previsto attualmente nel disciplinare), messe in vetrina nel Festival del Franciacorta, appuntamento fisso dedicato ad uno dei territori del vino più amati e prestigiosi d’Italia, con eventi diffusi tra cantine, street food, trekking e cultura, da Berlucchi a Barone Pizzini, da Bellavista a Bersi Serlini, da Ca’ del Bosco a Castello Bonomi, da Cavalleri a Contadi Castaldi, da Corte Aura a Ferghettina, da La Montina a Majolini, da Tenuta Montenisa della Marchesi Antinori a Monte Rossa, da Mosnel a Ricci Curbastro, da Uberti a Villa Franciacorta.
La “biodiversità funzionale” (recentemente oggetto di un documento di responsabilità collettiva dell’OIV - International Organisation of Vine & Wine) si persegue anche seminando tra le viti piante erbacee che con il loro nettare attraggono insetti utili per migliorare l’equilibrio dell’ecosistema vigneto e la qualità delle uve e del vino:
si sta studiando a Corte Bianca, piccola azienda in bio a Provaglio di Iseo (Brescia) selezionata, nel progetto del Consorzio Franciacorta sulla biodiversità, per la presenza di piante spontanee, siepi e boschetti vicini al vigneto.
“Per il Festival del Franciacorta organizziamo sempre un’occasione culturale - spiega Marina Tonsi, proprietaria di Corte Bianca, con il marito Mauro Franzoni - per trasferire agli appassionati una delle molte tessere che compongono il mosaico del “fare bio” su cui per il consumatore è difficile farsi un’idea destreggiandosi tra le informazioni vere e false che circolano in rete senza filtro. Siamo in bio fin dall’inizio, perché noi stessi viviamo qui e riteniamo prioritario salvaguardare l’ambiente e la nostra salute. E queste prove, che abbiamo accolto con entusiasmo, portano il bio ben oltre i precetti dei disciplinari. Chi fa ricerca ha una marcia in più per migliorare ciò che noi produttori facciamo”.
Oggi la viticoltura non punta più soltanto al reddito e alla qualità dei vini, ma anche alla riduzione dei residui, alla convivenza tra viticoltura e abitanti delle aree di produzione e alla sostenibilità a tutto tondo, ambientale, economica e sociale. “Solo integrando questi aspetti - ha esordito Enrico Marchesini di Agrea Centro Studi - la viticoltura può avere un futuro. Nell’ecologia classica la stabilità di un ecosistema è tanto più elevata quanto maggiore è la biodiversità. Non è certo la situazione dei vigneti attuali dove piantiamo cloni, cioè individui geneticamente uguali a se stessi. La biodiversità funzionale è lo strumento con cui si può stabilizzare un contesto produttivo. Così piante erbacee che vanno a fiore, come per esempio grano saraceno, alisso, trifoglio incarnato, facelia, attraggono insetti predatori e parassitoidi che concorrono a contrastare gli insetti dannosi. Piante che inoltre arricchiscono il terreno di sostanza organica. C’è peraltro anche un aspetto estetico: la bellezza del vigneto quando queste essenze fioriscono”.
La qualità dell’uva e dei vini, quindi, va di pari passo con una elevata biodiversità. “Nei nostri rilievi su oltre 100 vigneti in diversi contesti in quasi tutte le regioni d’Italia - ha sottolineato Pierluigi Donna di Sata Studio Agronomico - abbiamo constatato che le vigne con un punteggio più alto di biodiversità sono quelle in cui le aziende storicamente fanno i vini riserva, a dimostrare come ci sia coincidenza tra elevata biodiversità e qualità”. Qualità sempre più perseguita a Castello Bonomi, una delle quattro aziende di Casa Paladin, che, da dieci anni, ha appoggiato la sfida del recupero e della valorizzazione dell’autoctono Erbamat intrapresa dal Consorzio Franciacorta.
L’Erbamat matura un mese dopo lo Chardonnay e ha un buon corredo acido, in particolare malico, capace di compensare almeno in parte il rischio di riduzione dell’acidità nei vini base. Acidità che, nelle basi spumante, è un elemento fondamentale della freschezza e della longevità.

“Si tratta di avere una visione lungimirante - ha detto Carlo Paladin, con Roberto Paladin responsabile del gruppo che ha come fiore all’occhiello la sostenibilità - per dare continuità qualitativa al Franciacorta, anche alla luce del cambiamento climatico, ma non solo. L’introduzione dell’Erbamat, fortemente voluta da Silvano Brescianini, oggi presidente e allora vicepresidente dell’organismo di tutela, ha anche l’obiettivo di introdurre accanto agli internazionali una varietà di territorio. Un cambiamento che in prospettiva potrebbe rappresentare un trampolino di lancio su quei mercati attenti alle varietà autoctone italiane”.
“Carlo e Roberto Paladin sono sensibili all’innovazione - ha raccontato Leonardo Valenti dell’Università di Milano a cui il Consorzio di Tutela Franciacorta ha affidato lo studio dell’autoctono - abbiamo fatto molta sperimentazione anche qui, con la supervisione di Luigi Bersini, chef de cave, e dell’enologo Alessandro Perletti, per studiare il comportamento dell’Erbamat sui diversi terreni presenti in azienda, facendo vinificazioni separate, provando cuvée a diverse percentuali, superando il 10% previsto attualmente dal disciplinare. L’obiettivo dello studio è quello di introdurre l’Erbamat nella cuvée, a cui apporta freschezza, senza stravolgere il profilo del Franciacorta”.
Il 10% di Erbamat permesso attualmente è destinato ad aumentare (ad oggi gli ettari sono 7): sempre più aziende stanno dimostrando interesse alla luce dei prodotti che ne derivano e ormai convinti della sua sostanziale neutralità aromatica. E il Consorzio ha registrato il nome “Mordace” che in futuro potrà essere la menzione per i metodo classico franciacortini prodotti con l’Erbamat, come adesso accade per il Satén, che prevede in prevalenza Chardonnay con Pinot Bianco. L’azienda di Coccaglio è l’unica azienda tra le cinque che nel 2010 aderirono al progetto ad aver inserito, sin dal 2011, l’Erbamat in percentuali diverse con gli internazionali e durante il Festival del Franciacorta ha proposto i vini in una verticale che ha fatto emergere tutte le potenzialità dell’autoctono. E per valorizzare l’Erbamat Castello Bonomi ha prodotto un “vino spumante di qualità”: la Cuvée 1564 (data che si riferisce alla prima citazione dell’Erbamat da parte di Agostino Gallo). Pochissime bottiglie e quattro annate disponibili, che coniugano l’acidità dell’Erbamat (presente al 40%), la struttura del Pinot Nero (30%) e l’eleganza dello Chardonnay (30%). Barone Pizzini (Provaglio di Iseo-Brescia) e il suo dg Silvano Brescianini, da sempre alfieri dell’Erbamat, hanno invece puntato su una percentuale del 60% nel “Tesi1” e su una sosta di 60 mesi sui lieviti.

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