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IN MORTE DI GINO VERONELLI

Italia
Luigi Veronelli

E’ invecchiato e morto: ma siamo sicuri che nella sua tomba si sentirà bambino. Per dirla con un personaggio di Gogol’, di Dostoiewsky, o di Kafka, autori così cari a Gino, «in alto loco si sta brigando perché tale noiosa congiuntura venga superata e tutto torni come prima. Del resto, io non ho soluzione di continuità: sono ciò che ero. La mia possibilità di stupore non ha limiti perché io cado sempre dalle nuvole, e rido, con meraviglia fanciulla».
Gino Veronelli si era costruito uno stile di vita. Lo stile nella vita vuol dire: la capacità di formarsi, di avere legami, affetti, di coltivare amicizie, di sentirsi nel legame con gli altri. Allora, nella costruzione della propria vita, come vita riuscita, si realizza quella condizione finale, possibile, rara, ma possibile, in cui si muore per qualcuno e si lascia qualcuno. In questo senso, alla fine della vita, si può dire: ho vissuto bene, lascio qualcosa ad altri, un ricordo di me che li aiuti a vivere.
I miei insegnamenti, quello che ho fatto, quello che ho donato, nel modo in cui l'ho potuto donare, ha fatto crescere qualcuno. E quindi, mentre io mi vado spegnendo, alimento qualcosa che cresce. E questo è il modo migliore per durare. Questa eredità, guardiamola, perché Gino ci ha aperto la strada. A noi tutti che in questo convulso e sconclusionato mondo del vino, ne scriviamo e ne parliamo, spesso indegnamente. Già da adesso, nell’immediatezza della sua morte, l’unico modo decente di parlare di Gino Veronelli sarà leggerlo, come si fa con qualsiasi altro grande intellettuale.
WineNews lo ha incontrato un’ultima volta a fine settembre a Montefalco. Saliva sul palco per parlare con passo incerto, appoggiandosi dove poteva, ma tutti speravamo che fosse soltanto per le note difficoltà alla vista. Parlò anche in quell’occasione delle sue “nuove creature”: le “deco”, il “prezzo sorgente”, e con lo stesso amore di sempre invitava i “suoi vignaioli” a tornare a “sporcarsi le mani”. Non fu un testamento, ma una dichiarazioni di intenti, un manifesto di quello che purtroppo la morte gli ha impedito di fare.
Ci piace ricordarlo così: curioso e affetto soltanto da una “meraviglia fanciulla”.

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