Il diritto all’accesso al cibo buono, pulito e giusto per tutti, con un approccio che deve essere multidisciplinare e fondato sulla ricostruzione delle comunità per evitare il depauperamento dei territori, spesso e volentieri “terre” - nel senso più letterale della parola - proprio di quei prodotti alimentari racchiusi nella filosofia di Slow Food (buono, pulito e giusto). È la sintesi di ciò che il gastronomo Carlin Petrini sostiene e pratica da quarant’anni, da quando, cioè ha fondato Slow Food, il più importante movimento mondiale che ha rivoluzionato l’idea del cibo in ogni angolo del Pianeta, come ha ribadito, ancora una volta, in un confronto a “tu per tu” con WineNews, nell’Assemblea Slow Food alla Fao a Roma.
“La situazione a livello mondiale è molto delicata - riflette Carlo Petrini - perché, giorno dopo giorno. stiamo perdendo biodiversità e, nello stesso tempo, lo sconquasso ambientale è in grande parte determinato da questo sistema alimentare che favorisce lo spreco e che ci mette in una situazione di grande sofferenza”, spiega il fondatore Slow Food, invitando a prendere consapevolezza dell’ambiente in cui ci muoviamo: “dobbiamo essere coscienti che o le cose cambiano o altrimenti quello che sta avvenendo a livello climatico si perpetrerà anche sul livello della biodiversità e quindi delle risorse del pianeta”.
Coscienza civile, ma non solo. Il gastronomo descrive il suo concetto di cultura alimentare, “per sua natura multidisciplinare”, dice, perché “parlare di cibo non significa parlare solo di agricoltura, ma anche di economia, fisica, chimica”, materie da conoscere quando “si usa il fuoco e si tagliano gli alimenti per renderli edibili”.
Agricoltura che, con il cibo e con il vino, è la spina dorsale proprio di quei piccoli comuni a rischio spopolamento, che stanno perdendo sempre più servizi e abitanti (una riflessione che Carlo Petrini ha portato alla ribalta con il caso delle sue Langhe, in Piemonte, e che WineNews aveva riletto in quanto “paradigma” per molti altri territori dell’enogastronomia italiana). Ma, anche in questo caso, il fondatore di Slow Food insiste sul fare noi stessi il primo passo, senza aspettare che le istituzioni lo facciano per noi. Così, per conservare il “patrimonio della nostra Italia”, dice, occorre “mantenere le realtà sui territori e avere la capacità di fare in modo che non si depauperino. E, quindi, la centralità di questa fase storica è ricostruire le comunità: ovvero, ciò che permetterà in futuro di non avere tutto questo patrimonio depauperato”.
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