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SCENARI

Inflazione e crollo dei consumi mettono alla prova la ristorazione italiana e mondiale

In Inghilterra i pub riducono gli orari di apertura, e nel Belpaese il modello basato su pranzo e cena è sempre meno sostenibile
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Il vino sulle tavole dei ristoranti (ph: Andrea Piacquadio via Pexels)

L’aumento dei costi dell’energia, iniziato poche settimane dopo l’invasione russa dell’Ucraina, ha dato il via ad una spirale che solo adesso - dopo dieci mesi di rincari e un’inflazione che in Italia ha superato il 10% e ritmi che non si vedevano dal 1985 - sembra frenare. Gli effetti si vedranno in questo 2023 appena cominciato, che, secondo le previsioni della stragrande maggioranza degli analisti internazionali, sarà un anno vissuto dalle famiglie all’insegna della parsimonia. Del resto, con i salari fermi e i prezzi dei beni alimentari cresciuti, in Italia, del 13,1% da dicembre 2021 a dicembre 2022, non c’è da stupirsi che le priorità cambino, così come il paniere dei consumi.

Certe spese, a partire da quelle destinate ai generi alimentari e alla casa (affitti, mutui, bollette) non sono ovviamente procrastinabili, al limite rimodulabili, prestando maggiore attenzione a cosa si mette dentro al carrello. Altre, invece, sono destinate a subire tagli brutali, a partire dal settore dell’accoglienza, che comprende alberghi, bar e ristoranti, a tutti i livelli. Come racconta “Il Sole 24 Ore”, riportando i risultati di un sondaggio firmato dalla British Chambers of Commerce, in Inghilterra, per rispondere all’esplosione dei costi, ma anche alla mancanza di manodopera, aggravata dalla Brexit, tre quarti dei pub, ristoranti, caffè ed alberghi hanno scelto una qualche misura di contenimento dei costi: c’è chi ha ridotto l’orario di apertura, chi ha optato per una chiusura settimanale e chi ha deciso per una chiusura temporanea in attesa che la situazione migliori.

In Italia, come abbiamo visto in estate, a sostenere i consumi ci ha pensato il turismo internazionale, ma con l’arrivo dell’inverno ristoranti e bar i problemi sono gli stessi che il settore si trova ad affrontare ovunque. Senza distinzione di “rango”, come dimostra bene la decisione di René Redzepi, protagonista da oltre un decennio dell’alta cucina mondiale, di chiudere, nel 2025, il mitico Noma di Copenaghen, diventato ormai economicamente insostenibile. Anche qui, i costi di gestione e quelli del personale, hanno inciso profondamente sulla scelta dello chef danese. Tornando al Belpaese, solo i bonus energetici - prorogati in Legge di Bilancio per tutto il primo trimestre 2023 - permettono al mondo dell’hospitality di affrontare una crescita dei costi energetici che, tra ottobre e dicembre 2022, ha segnato il +59%, confermandosi come la più alta di tutta Europa.

Domandarsi se - e in che modo - bar, ristoranti ed altri locali riusciranno a superare questo momento, diventa ben più di un interrogativo filosofico. Già nel 2022, la mancanza di personale ha messo in seria difficoltà migliaia di attività: è un segnale forte di come il modello ristorativo italiano sia lavorativamente difficile da sostenere. Lavorando, a differenza di tanti altri Paesi, a partire dagli Usa, su due turni, diventa impossibile pagare due brigate di cucina e due di sala, costringendo spesso i dipendenti ad orari massacranti, che li tengono impegnati dalla mattina alla sera tardi, seppure con una pausa pomeridiana. E se cucina e sala sono vere e proprie palestre di vita per i più giovani, i professionisti del settore, specie a certi livelli, sono sempre meno disponibili a ritmi del genere. Nel 2023, però, ci saranno da affrontare anche gli effetti dell’inflazione: la riduzione del potere d’acquisto, almeno per le fasce di reddito medio/basse, si tradurrà in un calo dei consumi fuori casa, e questo rappresenta inevitabilmente un problema.

E se le grandi tavole stellate si rivolgono ad una clientela che, strutturalmente, paga all’inflazione un conto decisamente più basso, e le grandi catene di fast food hanno dimensioni e numeri tali da saper gestire il momento, è la piccola ristorazione, la spina dorsale dell’enogastronomia italiana, che rischia di pagare il conto più salato. Uscendone sicuramente provata, e chissà se definitivamente cambiata, specie nelle città e nei borghi turistici, dove modelli diversi, con la possibilità di mangiare e sedersi a tavola praticamente a qualsiasi ora del giorno, si vedono già da un po’. Superare l’offerta legata solamente al pranzo e alla cena, adeguandosi ad una domanda che cambia, e proporre così una gestione diversa della forza lavoro, potrebbe rivelarsi l’unico modo per superare indenni l’ennesima sfida, che forse persino più dei due anni di pandemia rischia di trasformare definitivamente la ristorazione italiana.

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