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Italia Oggi

Il vino europeo naviga a vista ... Il mondo del vino europeo è in movimento. Il problema è capire dove vuole andare. Ai problemi vecchi se ne stanno aggiungendo, in queste ultime settimane, di nuovi e di non facile soluzione. Si ha la sensazione che, di fronte a spinte endogene, ma anche esogene, questo universo grande, talvolta ricco, fiero dei suoi successi, si stia trovando in mezzo al guado, senza avere a disposizione risposte pronte per affrontare cambiamenti epocali che sono alle viste.
I problemi vecchi. Sono tanti e qui elencheremo solo i principali. Il principale è l’eccesso di produzione rispetto alla domanda. Con l’impetuoso arrivo sui mercati globali di enormi quantità di vino extra Ue, i produttori europei sono rimasti spiazzati, tanto che si è innescata la politica dei prezzi al ribasso, che però non ha pagato più di tanto; a questo eccesso produttivo si sono affiancate, negli ultimi anni, cause esogene, come la crisi economica mondiale, che hanno contribuito a contrarre i consumi in molti paesi. Se dunque i ricavi si sono ridotti rispetto a quelli di alcuni anni fa, i costi di produzione sono aumentati, riducendo i margini e innescando la pericolosa spirale di riduzione dei prezzi e della banalizzazione del prodotto.
Persa la battaglia del prezzo, l’Europa ha allora messo a punto una valida contromossa: puntare sulla qualità e sulla valorizzazione dei territori: una politica che sta pagando, soprattutto in Francia e in dove il cosiddetto terroir è una Bibbia. Ciò ha permesso di aggredire i vecchi e i nuovi mercati di sbocco con nuovo slancio Ma, al di là delle dichiarazioni ufficiali, paesi emergenti dal punto di vista dei consumi sono ancora assai giovani e i grandi numeri ipotizzati in fatto di consumi sono di là da venire: i casi di Cina e India valgano per tutti.
I problemi nuovi. Non bastasse tutto ciò, ora il mondo europeo del vino si deve confrontare con politiche comunitarie o nazionali che rischiano di penalizzarlo ancora di più. Come la riforma vino, pensata ed elaborata da commissari influenzati da politiche restrittive dei paesi nordeuropei, tra l’altro modesti consumatori di vino. Non a caso, la direttiva è fortemente osteggiata soprattutto da Italia e Francia, che non intendono avviare quell’ampia politica di espianti di vigneti, auspicata da Bruxelles per ridurre le sovvenzioni alla trasformazione. Se poi ci si mettono anche i singoli stati, il piatto è servito.
In Spagna è tutt’ora in corso un dibattito tra il governo e i produttori. Il primo, rappresentato dal ministro della sanità, che vorrebbe imporre serie limitazioni alla pubblicità e al consumo di tutte le bevande alcoliche per combattere il fenomeno dell’alcolismo, soprattutto giovanile; i secondi, impegnati da un lato ad affrontare seriamente il problema assieme alle istituzioni, dall’altro rivendicando la specificità del vino, tutelata anche da una legge del 2003 e del mondo produttivo che ci sta dietro, forte di oltre 400 mila aziende (la metà di quelle italiane!) e che già risente della fortissima riduzione dei consumi, che oggi viaggiano intorno ai 26 litri all’anno per persona (contro i 48 circa in Italia).
La Francia non sta meglio: la sovrapproduzione, la “guerra” degli Usa, che hanno fatto retrocedere le vendite di vino francese Oltreoceano, la concorrenza agguerrita hanno reso seria la situazione. Così, ora Parigi sta mettendo a punto due strategie, apparentemente contraddittorie: da un lato si punta a una denominazione nazionale (Vin de France) che faccia da ombrello per i vini medio-bassi, che intasano i magazzini dei vignerons; dall’altre si preme, come in Champagne, per modificare i disciplinari e portare la produzione per ettaro da 125 a 150 quintali per ettaro per stare dietro alla domanda. L’Italia sta correndo due rischi. due rischi. Il primo deriva dalle conseguenze dell’adozione, se e come ci sarà, dell’Ocm vino comunitaria, a fronte di una domanda estera in costante crescita. L’altro consegue dall’euforia da esportazione, che sta contagiando un po’ tutti i distretti produttivi. Certo, il dato incoraggia i grandi sforzi per la qualità del prodotto e per strategie di marketing aggressive e finora vincenti. L’importante sarebbe avere ben chiaro che la crisi può arrivare inattesa, come dimostrano recenti casi di sovrapproduzione e di invenduto.
Inoltre, il mondo del vino italiano dibatte ferocemente sul nulla, come nel caso dei chips: sì all’uso, chiedono alcuni grandi produttori; trucioli aromatizzati al rogo, gridano associazioni e gruppi di pressione. Dimenticando che in Italia i chips si usano (in segreto) da almeno 15 anni e che anzi il loro utilizzo è in leggero calo. Il mondo del vino naviga dunque a vista; c’è incertezza nei singoli mercati leader (Italia, Francia, Spagna), non c’è attenzione a livello comunitario, dove l’unico verbo è il risparmio di risorse. Risposte immediate non sembrano esserci. L’unica possibilità, forse, è quella intrapresa da singole realtà, che si sono impegnate in una costante politica che unisce qualità del prodotto a consapevolezza del consumatore. Manca ancora che queste linee guida, derivate più dal buon senso che da norme di legge, diventino retaggio comune di produttori, consumatori, legislatori. Non è forse molto per vendere vino ai cinesi, ma può essere un buon inizio.

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