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Italia Oggi

Vini bluff? C’è il test al Dna ... Ecco come scovare i cocktail di uve nei monovitigni. Dall’Università di Siena una nuova tecnica consente di estrarre il codice genetico... Come l’uomo, anche il vino ha un suo Dna caratteristico. Dal quale è possibile capire quale particolare tipo di vitigno sia stato utilizzato per la sua realizzazione. A scendere in campo sulla “scena del crimine” non sono i carabinieri del Ris ma una biologa del dipartimento di scienze ambientali dell’Università di Siena, Rita Vignani. Lei, e altre due sue collaboratrici, Monica Scali ed Elisa Paolucci, hanno messo a punto un processo che estrae il Dna di un vino, per adesso soltanto monovitigno, e stabilisce con una tolleranza dell’1% se sia stato o meno utilizzato soltanto il tipo di uva dichiarato. Insomma, è in grado di dire con assoluta certezza se, per esempio, dentro a una bottiglia di Brunello di Montalcino ci sia soltanto Sangiovese.

Domanda. Come funziona il processo?

Risposta. Utilizziamo la stessa tecnica usata per capire l’identità genetica nell’uomo. Si estrae il Dna e si compara con i campioni di un suo “familiare” per vederne la compatibilità. Vengono effettuati i test sui marcatori molecolari Ssr che caratterizzano ciascun individuo.

D. Ma non funziona per tutti i vini?

R. Per adesso abbiamo messo a punto un protocollo per i soli vini monovitigno. Abbiamo allo studio un procedimento per estrarre il Dna di vini realizzati con percentuali diverse di altre uve. Ma ci vorrà ancora un po’. Sa, siamo tre gatti, mancano i soldi.

D. Ma il processo sul monovarietale non è soltanto una sperimentazione?

R. Dal 2006 abbiamo costituito una società, la Sèrge, spin-off dell’Università di Siena, con la quale offriamo consulenze ed effettuiamo l’identificazione sia sulle vigne per la mappatura genetica dei vitigni sia in cantina, sia sul prodotto finito, il vino. Molti produttori di Brunello si sono rivolti a noi per ottenere la certificazione che realmente il loro vino fosse di solo Sangiovese. Uno strumento volontario di garanzia della qualità.

D. A proposito di Brunello, ma perché la magistratura senese non vi ha chiamato per usare la vostra tecnica?

R. È la stessa domanda che mi ha fatto Mabul Abdul, il direttore scientifico della commissione dell’Attb americana quando è venuta a Siena lo scorso giugno. Non so rispondere. Di certo io ho parlato davanti alla commissione e loro si sono dimostrati molti interessati tanto che potrebbe nascere una collaborazione.

D. Da dove parte la sua ricerca?

R. Ho iniziato negli anni 90 con un’indagine genetica sul genoplasma viticolo e sulla caratterizzazione molecolare dei vitigni. Poi si è trattato di trasporre l’esperienza dalla vite al prodotto finale, il vino.

D. Quello che ne è nato è un procedimento che si può applicare soltanto al vino?

R. Noi effettuiamo l’identificazione genetica attraverso il Dna non soltanto sulla vite, ma anche su altre specie di interesse agronomico. Si effettuano diagnosi di fitopatologie, si tracciano i prodotti e si certifica l’assenza di ogm, anche su vini e mosti, si effettuano analisi sui terreni. Oltre ad applicazioni nel campo della conservazione dei beni culturali e dell’itticoltura.


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