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Italia Oggi

Una gelatina fa buon vino ... La fermentazione favorita da microsfere di alginato... Un innovativo metodo di controllo della fermentazione malolattica, la conversione che permette di ottenere un vino più morbido ed equilibrato, maggiormente persistente e più ricco di corpo, è stato messo a punto in fase sperimentale da Raffaele Guzzon, ricercatore presso l’istituto agrario di San Michele all’Adige-Fondazione Edmund Mach, sotto la supervisione di Agostino Gavazza, responsabile del Programma tecnologie alimentari innovative della fondazione e di Giovanni Carturan, professore ordinario di chimica presso il Dipartimento di ingegneria dei materiali e tecnologie industriali dell’università di Trento. La nuova tecnologia, per la quale nei giorni scorsi Guzzon ha ottenuto il premio “Ricerca italiana per lo sviluppo” della Società italiana di viticoltura ed enologia, si avvale di microsfere di alginato (che altro non è che una gelatina alimentare comunemente utilizzata, per esempio, nella produzione di caramelle gommose), ulteriormente rivestite da uno strato di silice, all’interno delle quali sono intrappolati gli enococchi, ossia i delicati batteri che innescano la fermentazione malolattica. “L’innovazione portata da Guzzon”,
spiega a ItaliaOggi Gavazza, “è consistita nella complessa messa a punto di microsfere di arginato rinforzate con silice dalla struttura sufficientemente porosa per consentire l’assimilazione dei nutrienti dal vino, ossia dell’acido malico che viene trasformato in acido lattico e degli aminoacidi necessari al metabolismo dei batteri. Ma allo stesso tempo in grado di trattenere al proprio interno le cellule”. Questo nuovo metodo di controllo della fermentazione malolattica, come hanno potuto sperimentare presenta concreti vantaggi rispetto alle tecniche tradizionali di conversione. Il fatto che i batteri siano incapsulati li rende agevolmente estraibili dal vino, una volta espletata la loro funzione: le microsfere infatti sono immesse nel liquido all’interno di sacchetti sterili simili a bustine di té, rendendo superflua la successiva
filtrazione. La stabilità conferita alle microsfere dal rivestimento in silice consente poi di riutilizzarle più volte per innescare la fermentazione malolattica di diverse partite di vino, contenendo i costi. “Siamo arrivati a impiegare le medesime microsfere per tre volte consecutive”, sottolinea Gavazza, “e via via gli enococchi in esse contenuti hanno dimostrato un’attività crescente che ha consentito di ridurre i tempi della fermentazione dagli iniziali 19 giorni a 14 e poi a 10”. Perché i produttori di vino possano avvalersi di questa nuova tecnologia, ci vorrà comunque ancora del tempo. Assodata la sua fattibilità e utilità, lo Iasma sta verificando la conservabilità nel tempo delle microsfere contenenti gli enococchi. Una seconda fase che, come l’intera ricerca, è finanziata dal produttore canadese di lieviti e batteri per l’industria alimentare Lallemand.

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